Sentenze

Sentenze

Risarcimento del danno da fatto illecito- autovettura- moduli assegni circolari- condanna al pagamento di una somma di denaro ed interessi legali- artt. 2051 c.c, 41 comma 2° e 45 c.p.

29 marzo 2016

Risarcimento del danno da fatto illecito- autovettura- responsabilità extracontrattuale- moduli assegni circolari- condanna al pagamento di una somma di denaro ed interessi legali- artt. 2051 c.c, 41 comma 2° e 45 c.p.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Bologna, sezione distaccata di Imola, in persona del dottor Sandro Pecorella ha pronunziato la seguente

SENTENZA       

nella causa iscritta al n. 20250/2003 di R.G. degli affari contenziosi civili, posta in decisione, per la seconda volta, all’udienza dell’8 ottobre 2007 in seguito alla precisazione delle conclusione, senza concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, avendo le parti rinunciato a questi, pro­mossa dal sig. A. G. e A. S.a.s. in persona del legale rappresentante sig. A. G.,  rappresentati e difesi per mandato a margine all’atto di citazione dagli avv. L. B. del foro di V. e A. L. B. del foro di B. ed elettivamente domiciliati presso lo studio della seconda in I., via O. 8.

Attori

contro 

B. P. di L. S.c.a.r.l. rappresentata per forza della procura rilasciata per scrittura privata autenticata del 7 agosto 2002  n. 42290/14324 Rep. del notaio L. S. da M.) in persona dell’amministratore delegato e legale rappresentante dott. E. C. rappresentata e difesa, come da mandato in calce alla copia del ricorso in riassunzione notificato, dall’avv. G. G. ed elettivamente domiciliata in I. presso il suo studio, via A. 38.

Convenuta

avente per oggetto: risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale.

Conclusioni per l’attore (foglio di precisazione allegato al verbale d’udienza del 19 ottobre 2006 ):

voglia l’ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis,

NEL MERITO: accertata la responsabilità della B. P. Italiana (già B. P. di L. S.c.a.r.l. e B. B. A. S.p.A.) in ordine alla determinazione dell’evento delittuoso descritto nella narrativa dell’atto di citazione, condA.re la convenuta stessa al risarcimento dei danni patiti dall’attore A. G., in proprio e quale legale rappresentante della A. S.a.s., mediante il pagamento della somma di € 9338,84 o della maggiore o minore somma che risulterà di giustizia, oltre gli interessi legali come in narrativa indicati dal giorno dell’evento al saldo effettivo.

In via istruttoria: si richiamano le istanze formulate con memoria 12 ottobre 2005.

Con vittoria di spese, diritti ed onorari.

Conclusioni per il convenuto (come da comparsa di costituzione e risposta del 10 luglio 2003):

Piaccia all’On.le Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione reietta, per le causali di cui in narrativa, preliminarmente accertare e dichiarare la carenza di legittimazione passiva della convenuta B. B. A. S.p.A.;

in subordine, accertare e dichiarare la carenza di legitimatio ad causam del sig. A. G. in proprio;

nel merito, disattendere in toto le domande attoree siccome infondate in fatto e in diritto.

In ogni caso con vittoria di spese, diritti ed onorari e rimborso spese generali ex art. 15 Tariffa Professionale Forense.

 

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 13 giugno 2003 il sig. A. G. e la A. S.a.s. che ha come legale rappresentante il medesimo sig. A. G.,  ha convenuto in giudizio di fronte all’intestato giudice la C. di R.o di I., già diventata B. B. A. S.p.A., per vederla condA.re al risarcimento dei danni per causa della stessa subiti.

Riferivano di aver subito danni per una truffa commessa da sedicente Loris T. (in seguito questo risultò essere un “alias” di L. E.) che aveva pagato una costosa autovettura messa in vendita dalla A. S.a.s. con assegni circolari ICCRI emessi apparentemente dalla C. di R.o di I., sede di R., che in realtà erano stati oggetto di furto nell’agenzia 1 di I..

La macchina era stata poi recuperata in S. e gli attori ne hanno ottenuto la restituzione qualche tempo dopo in seguito a istanze presso le autorità giudiziarie spagnole ed italiane.

Chiedevano pertanto alla B. i danni, dovuti ad omessa custodia dei moduli degli assegni circolari e costituiti dalla differenza di valore dell’automobile e dalle spese per il recupero della macchina in S..

Si costituiva la B. B. e respingeva nel merito la responsabilità.

In ogni modo contestava che il sig. A. G. potesse avere legittimazione attiva in proprio, riteneva che il medesimo, quale legale rappresentante avesse posto in essere comportamenti imprudenti che indicava specificamente e che riteneva avessero di per se causato dato corpo alla truffa.

Il processo è stato istruito con produzione documentale e prove testimoniali.

Nel corso del processo, la B. B. si è fusa per incorporazione nella B. P. di L. che poi ha mutato denominazione in B. P. Italiana.

Il processo è stato dichiarato interrotto e ritualmente riassunto.

Dopo una prima precisazione delle conclusioni e scambio di comparse conclusionali e repliche il precedente giudice si è astenuto per ragioni personali ed è stato necessario rifissare l’udienza di precisazione delle conclusioni.

In questa sede le parti hanno rinunciato ai termini di cui all’art. 190 c.p.c. avendo già depositato gli atti conclusivi del processo e pertanto la causa è stata subito trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

La vicenda che ci occupa presenta alcuni profili peculiari. Infatti non è certo comune che una B. venga trascinata in giudizio per responsabilità extracontrattuale per delle truffe commesse utilizzando documenti provenienti dalla B..

Nel merito, però, le domande attrici appaiono pienamente fondate.

Centrale, per arrivare a questa conclusione, è la considerazione del nesso di causalità tra il fatto lesivo occorso al sig. A. G. in proprio e alla società di persona che rappresenta e il fatto commesso dalla B. e cioè l’omessa o carente custodia dei moduli degli assegni circolari.

In proposito si rileva come pure pacificamente ritenuto dalle parti che la regolamentazione del nesso di causalità in materia di fatto illecito debba essere mutuata dalle norme penali sostanziali, non prevedendo il codice civile un autonoma disciplina.

Dunque, i principi che regolano il rapporto di causalità sono previsti dal combinato disposto degli artt. 40, 41 e 45 del codice penale.

Essi appaiono accogliere una delle teorie che hanno tentato di definire la relazione che c’è tra una determinata azione umana e un certo evento, definendo in particolare quando il secondo debba ritenersi causato dalla prima.

Attualmente si ritiene che un certo evento dannoso è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato (per lo meno con quelle modalità, anche temporali) in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non); ma che nel contempo non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all’interno delle serie causali così individuate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l’evento causante, non appaiono del tutto inverosimili dal punto di vista di un esperto osservatore (c.d. teoria della causalità adeguata).

Si ha interruzione del nesso causale, con conseguente esclusione dell’imputabilità del danno quando sopravvenga un fattore del tutto distinto e autonomo che, indipendentemente dal primo, sia idoneo a produrre l’evento lesivo. Tale fatto può essere anche ascrivibile al danneggiato.

Poiché un evento può dirsi causato dalla condotta umana in quanto ne era umanamente prevedibile il verificarsi come conseguenza di questa, al fine di distinguere l’evento “causato” dall’evento “causale”, come pure la causalità dalla colpevolezza, occorre ben precisare:

1)             il grado di conoscenza umana richiesto per il giudizio di prevedibilità, se cioè l’evento debba essere prevedibile come conseguenza della condotta secondo la scienza ed esperienza personale dell’agente, la scienza od esperienza media o comune o la scienza ed esperienza migliore.

I primi due criteri vanno nettamente respinti, poiché confondono la causalità con la colpevolezza. Il primo degrada, inoltre, la causalità ad un assurdo relativismo soggettivistico, dovendosi ammettere tante nozioni di causalità quanto sono i diversi livelli di conoscenza delle persone umane: una identica condotta dovrebbe considerarsi o meno causa di un evento a seconda che sia stata posta in essere, ad esempio, da uno scienziato o da un pastore incolto. Il secondo, oltre alla sua intrinseca genericità, porta a trascurare la superiore scienza del soggetto agente (es: dei creatori della bomba atomica o dello scopritore del radium prima che l’efficacia distruttiva di tali scoperte venisse resa nota).

L’unico criterio adottabile non può che essere quello della migliore scienza ed esperienza. Tale criterio “obiettivizza”  la causalità e la distingue dalla colpa, la quale si fonda invece sulla prevedibilità dell’evento secondo le conoscenze che l’agente ha o è tenuto ad avere; con possibilità di identificazione solo nei casi estremi in cui il soggetto agente è anche il migliore scienziato della materia. Sicché il maggiore grado di scienza, raggiunto dalla umanità nella specifica materia, segna il limite estremo della causalità umanamente riconosciuta. Quando l’evento non è prevedibile, in alcun modo, neppure dalla massima scienza, ciò sta a significare che la condotta umana  non è nemmeno conditio sine qua non o perché non lo è ontologicamente o perché ciò non è stato ancora scientificamente appurato. Tale criterio consente, altresì, di sussumere la prevedibilità e, quindi, la causalità sotto le leggi naturali scientifiche, che esprimono determinate regolarità di successione dei fenomeni ed hanno una loro precisa validità per la loro controllabilità empirica, l’alto grado di conferma, la generalità di applicazione. Esso, perciò, permette di meglio soddisfare, anche nella causalità, le esigenze garantiste di tassatività e certezza giuridica espresse dal principio di legalità. Di ridurre quel libero apprezzamento del giudice, fondato sulla “evidenza dei fatti” e sulle “generalizzazioni del senso comune”, che possono portare a conseguenze fuorvianti e sono utilizzabili, per ragioni di economia processuale, quando sottintendano una effettiva legge scientifica “tacitamente assunta” e controllabile. E di evitare, così, che la “intuizione” del giudice si elevi a fonte di produzione di nessi causali, scientificamente non confermati.

Tra le leggi scientifiche utilizzabili  non vi sono solo le c.d. leggi universali (di certezza), che esprimano una regolarità di successioni dei fenomeni, non smentita da eccezioni (es.: legge di gravità), e perciò offrono la massima garanzia di certezza, scientifica e giuridica. Ma anche le leggi statistiche (di probabilità), che esprimono successioni di fenomeni soltanto in una certa percentuale (es.: tra esposizione a morbillo e contagio) per il subentrare di fattori indeterministici, ma che pur sempre consentono di sussumere un evento sotto la causalità, se esso risulta percentualizzato in un rilevante grado di possibilità;

2)               il grado di accadibilità dell’evento, se cioè l’evento debba essere come certo, probabile o soltanto possibile.

A seconda del criterio che viene utilizzato si avrà un diverso onere probatorio in riferimento all’accertamento del nesso di causalità poiché evidentemente più facile dimostrare la semplice possibilità piuttosto che un grado di probabilità più o meno elevato o la certezza. Questo è un problema particolarmente importante per chi debba affrontare il tema della responsabilità umana poiché per la scienza, nella sua ineliminabile componente induttiva, al limite nulla è assolutamente certo e tutto è minimamente possibile.

Lo stato della giurisprudenza sul punto è il seguente:

a)             il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata la condotta doverosa (e nel caso di reato commissivo, ipotizzandosi non realizzata la condotta umana in esame) impeditiva dell’evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato, ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva;

b)            non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificare la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, cosicché, all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica;

c)             l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva o commissiva di cui si tratta (nel caso di un medico si dovrà verificare la sua omissione), rispetto ad altri fattori interagenti sulla produzione dell’evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio.

Concludendo, la condotta umana può considerarsi causa dell’evento quando secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico (cioè secondo le leggi causali): a) è conditio sine qua non del medesimo, in quanto senza di esso l’evento non si sarebbe con elevato grado di certezza verificato; b) e l’evento, al momento della condotta, era prevedibile come conseguenza altamente probabile di essa.

In primo luogo, non è neppure ipotizzabile un problema di causalità quando la condotta non sia condizione verosimilmente necessaria. Accertamento da compiersi attraverso: a) il giudizio ex post, ad evento avvenuto e, quindi, con cognizione del come si sono succeduti i fenomeni (es.: ferimento, trasporto del ferito all’ospedale e morte del ferito per l’incendio dell’ospedale; costruzione del bacino montano, frana ed inondazione); b) il procedimento dell’eliminazione mentale, per cui, eliminata mentalmente la condotta (o nel caso di omissione aggiunta l’azione che per ipotesi si sarebbe dovuta compiere), viene meno anche l’evento con ragionevole certezza scientifica, secondo cioè regole causali: in tanto è possibile affermare che senza la specifica condotta storica non si sarebbe verificato l’evento in quanto sussiste la previa conoscenza della regolarità di successioni tra quel tipo di condotta o omissione e quel tipo di evento.

Richiamandoci a peculiari ipotesi, la condotta non è condizione necessaria nei casi di inutilità del comportamento alternativo corretto, quando cioè l’evento, che è seguito ad una condotta imprudente, si sarebbe verificato anche tenendo la condotta corretta, imposta dall’ordinamento. Si citano i casi del medico che, usando per errore cocaina anziché novocaina in un intervento sotto narcosi, provoca la morte del paziente che con quasi certezza sarebbe deceduto a causa della particolare ipersensibilità ad ogni tipo di narcotico, anche con l’uso della novocaina; del camionista che, nel sorpasso senza il rispetto delle distanze laterali, investe un ciclista che avrebbe egualmente investito mantenendo la distanza prescritta, in quanto l’infortunato, ubriaco, aveva compiuto un ampia e brusca sterzata.

Condizione necessaria è, invece, la condotta nei casi della c.d. causalità alternativa ipotetica, quando cioè l’evento, cagionato dall’agente si sarebbe, altrimenti, pur sempre verificato per altra causa pressoché contestuale (es.: distruzione con esplosivo della casa che sarebbe stata egualmente distrutta dal vasto incendio scoppiato nelle vicinanze; uccisione con arma da fuoco di soggetto che sarebbe egualmente morto perché precedentemente avvelenato). Per evitare di erroneamente concludere per la non essenzialità della condotta dell’agente (perché, eliminata essa, l’evento si sarebbe ugualmente verificato), va tenuto presente che l’evento, da considerare, è solo quello rispetto al quale si pone il problema della causalità della condotta, e non quello ipotetico. E rispetto ad esso la condotta è essenziale, poiché senza di essa non si sarebbe avuta l’esplosione della casa e la morte per sparo. Così come essenziale è ritenuta la condotta anticipatrice dell’evento (es.: morte).

Condizione necessaria è, altresì, la condotta nei casi della c.d. causalità addizionale, quando cioè l’evento è cagionato dal concorso di più condotte ad efficacia simultanea, ciascuna  però sufficiente a produrlo (es.: A e B, indipendentemente l’uno dall’altro incendiano contemporaneamente la casa, che sarebbe andata parimenti distrutta se uno solo dei due avesse agito, oppure versando una propria dose letale di identico veleno nel cibo del comune nemico). Ciascuna condotta è conditio sine qua non, perché, eliminando l’altra, l’evento non viene meno. L’accertamento va, perciò, effettuato attraverso l’eliminazione mentale, prima, della condotta altrui, da cui deve risultare che l’evento si sarebbe ugualmente verificato, e, poi, della condotta residua, da cui deve risultare che l’evento sarebbe venuto meno.

Nei casi, infine, in cui, eliminata la condotta, permanga insuperato il ragionevole dubbio circa l’eliminazione dell’evento (es.: lesioni dei nati da gestanti trattate con certi farmaci, manifestazioni morbose negli abitanti di zone industriali) sulla base delle attuali cognizioni della migliore scienza ed esperienza, valgono le comuni regole processuali per il caso di prova dubbia.

In secondo luogo, la condotta non è causa dell’evento, anche se ne è conditio sine qua non, quando l’evento non era prevedibile come conseguenza verosimile della condotta stessa secondo la migliore scienza ed esperienza: quando cioè l’evento è eccezionale. Giudizio di prevedibilità che va effettuato ex ante, rapportato cioè al come era presumibile il verosimile succedersi dei fenomeni al momento della condotta e nella situazione concreta in cui la condotta operò.

Invero, l’evento per la migliore scienza può risultare verosimile ex post, cioè considerato alla luce di tutti i concorrenti fattori che sono poi emersi (così la morte del ferito per crollo dell’ospedale, risultato poi pericolante o dell’autista tamponato, colpito da infarto in seguito all’acceso diverbio col tamponatore, se poi risulta soggetto collerico e cardiopatico). Ma può apparire, invece, inverosimile ex ante (es.: per la migliore scienza se è verosimile che i suddetti soggetti possano morire per effetto del ferimento o per trauma da tamponamento, del tutto inverosimile è la loro morte per il crollo dell’ospedale o per l’infarto da ira).

Per determinare l’eccezionalità dell’evento rispetto alla condotta, occorre inoltre tenere conto della migliore scienza ed esperienza del caso concreto, che risulta dalla migliore scienza ed esperienza astratta e dalle eventuali conoscenze particolari del soggetto agente al momento della condotta stessa, poiché la migliore scienza ed esperienza possono, talora, coincidere con la conoscenza che, nella situazione concreta, ha l’agente. Così nel caso del chimico che ha scoperto un nuovo veleno o un nuovo esplosivo. Oppure di chi ferisce una persona sapendo che, nel tragitto per l’ospedale, dovrà passare per un ponte lesionato che crollerà: quella morte per crollo, che è inverosimile conseguenza del ferimento, tale non è se vista rispetto alla migliore scienza, già ex ante, dell’agente. O ancora di chi tampona chi sa collerico e soggetto ad infarti.

L’eccezionalità dell’evento dipende, di regola, dal concorso di fattori eccezionali sopravvenuti, cioè non prevedibili come verosimili al momento della condotta e che come tali, hanno reso possibile il verificarsi di un evento che, allora, non presentava neppure per la migliore scienza ed esperienza, alcuna probabilità; e che possono consistere anche nel fatto illecito altrui. Così quando A ferisce B  che muore all’ospedale per incendio, fulmine, valanga, errore medico, atto di un pazzo, infezione tetanica, embolia, o lungo il tragitto per incidente stradale, o crollo di un ponte lesionato. Come pure nei casi di morte per infarto della persona scippata o del passante ai cui piedi precipita un voluminoso oggetto gettato da un balcone; o di morte per fulmine della persona inviata nel bosco all’avvicinarsi del temporale; trattandosi in tutti i suddetti casi di sopravvenienze la cui frequenza si avvicina allo zero. Lo stesso vale anche nel caso della condotta già di per se idonea a produrre l’evento, come nel caso della ferita atta a produrre al morte se non curata (es.: ferita addominale con lesione lieve ad un ansa intestinale). Guardando alla situazione concreta, se la ferita fu arrecata in un luogo (isolato dalla neve, in alta montagna, ecc.) che rendeva impossibile un tempestivo soccorso terapeutico, il feritore è causa della morte. Non lo è se la ferita fu arrecata in luogo rispetto al quale era prevedibile come verosimile un intervento terapeutico adeguato e la morte fu dovuta ad errore diagnostico o terapeutico, dovendo questi fattori ritenersi eccezionali.

L’eccezionalità dell’evento può anche dipendere dal concorso di fattori causali preesistenti, o simultanei alla condotta, allorché la loro presa in considerazione non lasciava al momento della condotta, prevedere secondo la migliore scienza ed esperienza come verosimile il verificarsi dell’evento. Così nel caso del soggetto che soffre di malattia che solo eccezionalmente, in una percentuale insignificante, rende letale un intervento chirurgico o una ferita oppure una idiosincrasia che solo rarissimamente rende mortale la somministrazione di un certo farmaco. È certo, però,  più raro potere qualificare in rapporto alla migliore scienza ed esperienza, come eccezionale l’evento in base ad un fattore causali antecedente o concomitante. Non può, ad es.: escludersi il nesso causale tra le percosse e la morte dell’emofiliaco o della persona che ha un proiettile nella testa o la calotta di vetro o di chi porta indosso un sensibile esplosivo, o tra la somministrazione di un certo farmaco e la morte della persona affetta da grave forma di idiosincrasia, quando secondo la migliore scienza ed esperienza era prevedibile con elevato grado di probabilità che nei confronti di tali soggetti, sarebbe derivato l’evento letale. Così come non va escluso nell’ipotesi del ferito che muore assiderato nella notte gelida.

Mentre l’art.40 c.p. afferma l’ovvia necessità del nesso causale, l’art. 41 intende invece stabilirne l’ubi consistam, senza però offrirne una definizione univoca. Disciplinando la dibattuta materia delle concause, tale articolo dispone: “Il concorso di cause preesistenti o simultanee sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento”.

“Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita”.

“Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui”

A parte la terminologia impropria di “concorso di cause”, dato che “causa” è consistita dalla totalità delle condizioni (onde più esatto sarebbe parlare di “concause” o, meglio ancora di “concorso di condizioni”), nessuna particolare difficoltà pone il primo comma dell’art. 41. Come si riconosce in genere, esso da solo appare accogliere la teoria della conditio sine qua non.

Né problemi pone il terzo comma, il quale, con una finalità puramente chiarificatrice, precisa che il concorso di fatti illeciti altrui (dolosi, colposi o a responsabilità oggettiva) soggiace alle regole causali generali, fissate nei precedenti commi.

Le maggiori difficoltà interpretative sono state sollevate, invece, dal secondo comma. L’interpretazione più corretta – suffragata anche dalla relazione al progetto definitivo del c.p., che fa riferimento alla “interferenza di serie meramente occasionali”, citando l’esempio del ferito che, trasportato all’ospedale, vi muore per un incendio – è quella per cui il nesso causale è escluso quando l’evento è dovuto al sopravvenire di un avvenimento eccezionale. L’interpretazione va accolta sempre che  per fattore eccezionale sopravvenuto s’intenda quel fattore causale il cui intervento non era prevedibile come verosimile al momento della condotta e come tale ha reso possibile il verificarsi di un evento che, allora, non presentava alcuna probabilità, secondo la migliore scienza ed esperienza.

Sennonché l’art. 41 comma 2° c.p., limitando la capacità di escludere il nesso causale alle sole concause sopravvenute, creerebbe un’ingiustificabile disparità di trattamento rispetto alle cause antecedenti e simultanee che hanno parimenti reso eccezionalmente possibile il verificarsi di un evento che, al momento della condotta, appariva del tutto verosimile.

Questa apparente lacuna dell’ordinamento appare colmata dalla presenza dell’art. 45 c.p. che disciplina il caso fortuito e la forza maggiore.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza tradizionali il caso fortuito e la forza maggiore presuppongono il nesso causale tra la condotta e l’evento e vengono, perciò, studiati nell’ambito della colpevolezza quali cause di esclusione di essa.

Ciò lo si desumerebbe anche dall’art. 45, il quale, nel disporre che “Non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o forza maggiore”, con l’espressione “commettere” presupporrebbe l’esistenza di tale nesso causale. Sotto il caso fortuito e la forza maggiore vengono raggruppate le ipotesi in cui l’evento non era prevedibile soggettivamente, cioè dall’agente, secondo le conoscenze dal lui possedute o che avrebbe dovuto possedere in base alla sua posizione e professione. Sicché nessun rimprovero, neppure di semplice leggerezza, può essergli mosso.

Più recentemente il caso fortuito e la forza maggiore sono stati, giustamente, riportati nell’ambito connaturale della causalità umana, quali fattori di esclusione di essa. E ciò appare trovare conferma nello stesso art. 45, il quale in verità, col fare seguire al verbo commettere la preposizione “per”, sta a significare “a causa di”, assume il caso fortuito e la forza maggiore come “concause” dell’evento, degradando la condotta a mera conditio sine qua non.

Concettualmente il caso fortuito e la forza maggiore stanno, infatti, ad esprimere il mondo degli avvenimenti obbiettivamente (cioè da parte della migliore scienza ed esperienza) non prevedibili come verosimili o addirittura in assoluto (perché l’attuale scienza umana completamente ignora la stessa possibilità di un nesso causale, come, ad esempio, fino a pochi decenni fa, era sconosciuto il nesso causale che esiste fra il fumare e il cancro). Il caso fortuito abbraccia tutti quei fattori causali, non solo sopravvenuti, ma anche preesistenti o concomitanti, che hanno reso eccezionalmente possibile il verificarsi di un evento che, al momento della condotta, si presentava come conseguenza del tutto inverosimile secondo la migliore scienza ed esperienza (ad esempio, sarebbe tale l’investimento da parte dell’automobilista del bambino vivace che cade da un balcone soprastante la strada). La forza maggiore, che dal caso fortuito si differenzia solo se vista  a parte subiecti, si identifica con tutte quelle forze naturali esterne al soggetto che lo determinano, in modo inevitabile, ad un determinato atto (ad esempio, l’uccisione di un passante da parte di un operaio che gli cade addosso dall’alto perché precipitato dall’impalcatura sulla quale lavorava per un improvvisa tromba d’aria o da un pilota precipitato da un aereo per avaria).

Pertanto, entrambi escludono, innanzitutto, il rapporto di causalità tra condotta ed evento e, mediamente e a fortori, anche la colpevolezza, quale riflesso soggettivo del fatto che l’agente non poteva prevedere come verosimile ciò che non era tale neppure per la migliore scienza ed esperienza.

Poiché il fortuito abbraccia i fattori causali non solo sopravvenuti ma anche preesistenti o concomitanti, dal combinato disposto degli artt. 41 e 45 deriva che:

a)              l’art. 41 comma 1° c.p. regola il concorso di fattori causali, preesistenti,  concomitanti o sopravvenuti, che non escludono il rapporto di causalità perché l’evento, al momento della condotta, era prevedibile come verosimile dalla migliore scienza ed esperienza;

b)             gli artt. 41 comma 2° e 45 c.p. regolano, viceversa, il concorso di fattori causali, preesistenti, concomitanti, sopravvenuti, che escludono il nesso causale perché essi hanno reso possibile il verificarsi di un evento che, al momento della condotta, non era prevedibile come conseguenza verosimile.

Alla luce di quanto detto è agevole esaminare quel che è successo nel presente caso.

Come prima cosa occorre dire che non vi è nessun dubbio sul fatto che dall’eventuale omessa custodia di moduli di assegni circolari possa derivare danno a taluno per il fatto che tali moduli possano essere compilati in modo da ingannare terze persone.

Il problema di questo processo, dal punto di vista del nesso di causalità, è solo la verifica se i comportamenti tenuto dal sig. A. G. siano di per se condotta che escluda la causalità tra il fatto eventualmente colposo (lo vedremo poi) della B. ai sensi degli art. 41 e 45 c.p. prima esaminati.

La convenuta B. indica alcuni comportamenti imprudenti del sig. A. G.. Questi in relazione al fatto di avere accettato gli assegni sono sostanzialmente tre e  cioè il fatto di avere accettato un assegno circolare che non avrebbe avuto validità in quanto non era indicato chiaramente il luogo di emissione cosa che invece è prevista a pena di nullità dell’assegno circolare. Inoltre il sig. A. G. ha accettato, nonostante avesse dubbi di vedersi con il fantomatico sig. T. alle ore 17,00 quando le banche sono irrimediabilmente chiuse fino alla successiva giornata in modo tale di non potere controllare la bontà degli assegni. Infine il sig. A. G. non ha controllato l’esistenza di una sede di R. della C. di R.o di I. che, indicata negli assegni circolari, in realtà non esiste.

Per quanto riguarda il modo di apparire degli assegni occorre dire che essi sono contenuti in fotocopia nel fascicolo delle parti. Si può tenere conto di queste fotocopie poiché, ai sensi dell’art. 2719 c.c. non vi è espresso disconoscimento.

Dunque dalla visione delle copie suddette emerge che la mancata indicazione del luogo non è particolarmente evidente, che l’indicazione sede di R. sembra indicare il luogo di emissione e che più in generale gli assegni non appaiono falsificati in modo evidentemente grossolano.

In definitiva l’avere accettato un assegno così falsificato non costituisce quel comportamento che ai sensi dei citati artt. 41 comma 2° e 45 c.p. esclude il nesso di causalità tra il comportamento della B. e il danno.

Similmente si può dire circa gli altri comportamenti tenuti dal sig. A. G. di non avere tenuto un appuntamento in orario di B. aperta come aveva insistito in un primo tempo e di non avere controllato l’esistenza di una sede di R. della C. di R.o di I.. Gli accadimento imputati dalla B. al sig. A. G. sono comportamenti assolutamente prevedibili come verosimili al momento nel quale la B. perde il controllo sui moduli degli assegni circolari.

In particolare si rileva che non vi è nessuna norma che prevede che gli assegni circolari possano essere accettati solo in orario di B. aperta e anche nel caso la B. fosse stata aperta il fatto che il ricevente avrebbe potuto chiedere conferma alla B. della validità di quegli assegni, magari chiedendo anticipazione dei numeri dei moduli, non è prevista da nessuna norma.

L’assegno ed in particolare l’assegno circolare è un mezzo che è nato per facilitare i pagamenti e non per complicarli e infatti nessuno accetterebbe assegni se fosse obbligato a svolgere tutti questi accertamenti che oggi la convenuta addebita come non tenuti dal sig. A. G..

Più in generale si rileva che anche il principio circa la non scusabilità della ignoranza della legge richiamato sempre dalla convenuta in proposito dei comportamenti del sig. A. G. in relazione al fatto che questo avrebbe errato nel considerare gli assegni circolari come denaro contante (ignorando così la valenza della convenzione di corrispondenza tra le banche che rende gli assegni circolari pagabili ovunque) è erroneamente richiamato perché esso vige solo per la legge penale (art. 5 c.p.) e non per la legge extrapenale che in questo caso ha importanza essenzialmente come regole per la risoluzione di conflitti.

In definiva in tutti i comportamenti colposi del sig. A. G. fin qui indicati non vi è modo di vedere una concausa che di per se esclude il nesso di causalità tra il comportamento della B. e il danno occorso al sig. A. G. e alla A. S:a.s.

Rimane da esaminare solo un comportamento che peraltro è appena accennato dalla Difesa della B.. In proposito del fatto delittuoso capitato al sig. A. G. emerge che sono state presentate, prima una denuncia querela e poi una sua integrazione. Secondo la prima querela del 1 dicembre 2000 l’appuntamento con il sig. T. alias L. sarebbe avvenuto il 29 novembre 2000, mentre nella successiva integrazione del 5 novembre questa prima indicazione del 29 novembre è definito frutto di un errore, mentre l’appuntamento sarebbe avvenuto il 30 novembre. Ne trae spunto la convenuta per ritenere che l’appuntamento in realtà non sia avvenuto il 30, ma il 29 novembre in modo tale che il sig. A. G. avrebbe accettato assegni post datati di un giorno. Infatti gli assegni sono datati 30 novembre 2000.

È evidente che se così fosse accaduto ci troveremmo davvero ad un fatto sussumibile nel paradigma di quei comportamenti che escludono il nesso di causalità con il precedente comportamento della B.. Infatti pur essendo spesso prassi commerciale quella di accettare assegni B.ri post datati  (prassi comunque illecita) la possibilità di esistenza di assegni circolari post datati è impossibile, essendo certo che questi vengano emessi solo in presenza di effettiva provvista.

Come si è detto però il fatto non è assolutamente credibile perché è un dato pacifico che il sig. A. G. cercò di anticipare l’appuntamento alle ore 14,30, perché avrebbe voluto controllare gli assegni tramite la B. e dunque non è assolutamente pensabile che sia caduto in un errore così banale. Del resto egli ha affermato in un atto successivo comunque pubblico una cosa diversa  e cioè che il fatto non è avvenuto il 29 novembre 2000, ma il 30 novembre 2000 e ciò lo ha fatto non certo in previsione di dover fare causa alla B., ma in prospettiva di recupero della macchina (cosa che in effetti poi avvenne anche se a distanza di tempo). Dunque non vi è motivo per ritenere che quanto dichiarato nel verbale di integrazione di denuncia non sia vero.

Preso atto di ciò nessun comportamento tenuto dal sig. A. G. può essere ritenuto fatto che esclude il nesso di causalità tra il fatto della B. e il danno subito per la truffa.

Preso atto di ciò occorre vedere se il fatto di furto può essere in qualche modo imputato soggettivamente alla B. interessata dal furto.

Ritiene lo scrivente che il danno sia stato causato per mezzo di cose, i moduli di assegno circolare, che la B. aveva in custodia e per tanto il fatto è chiaramente sussumibile dal punto di vista dell’imputazione soggettiva, nei casi compresi dall’art. 2051 c.c. per il quale ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia salvo che provi il caso fortuito.

In proposito le prove testimoniali permettono di affermare che si tratta di moduli rubati presso l’indicata agenzia 1 della B. in I.. I testi indotti hanno visionato la videocassetta dell’impianto di video sorveglianza e permettono  di capire come è stato effettuato il furto. Orbene, si vede che il plico contenente i moduli degli assegni è stato tratto dalla C.forte per necessità di ufficio, ma che lo stesso è stato lasciato per qualche tempo appoggiato senza contatto diretto con il personale d’ufficio su un banco della C.. Il punto dove è stato lasciato il plico è a circa due metri da quello dove può avere accesso il pubblico ed i testi riferiscono che dalla videocassetta si vede che un “cliente” si stende sul bancone e con l’ausilio di una specie di antenna riesce ad agganciare il plico ed appropriarsene allontanandosi poi indisturbato.

Su questo fatto si deve rilevare che indubbiamente non vi è nessun rilievo da fare circa la decisione di trarre la busta dalla C.forte. Infatti sta nella natura dell’attività B.ria che i moduli debbano essere estratti dalla C.forte per necessità di ufficio. Quello che invece è sbagliato è che la busta sia stata lasciata incustodita in un luogo dove ciò poteva essere visto da estranei che utilizzando certamente destrezza, ma non una destrezza eccezionale, sono riusciti ad impossessarsi della busta medesima senza che nessuno se ne accorgesse fino al punto in cui fu presa visione della cassetta.

Ritiene lo scrivente che la B. non abbia certo dato la prova del caso fortuito dovendo essere assicurata comunque una custodia sicura di così delicata documentazione dato il valore di pubblica fede che in essi è riposto.

Sarebbe bastato mantenere un contatto visivo con la busta per impedire il furto. Invece risulta che gli operatori erano in altra parte dell’ufficio a svolgere il loro lavoro e che la visuale era impedita loro da una colonna che ha permesso al ladro di non essere scorto mentre si sporgeva.

Senza contare che i metal detector di cui tutte le banche sono da tempo dotate avrebbero dovuto permettere di vedere che il “gentile cliente” che ha operato il furto era entrato con un antenna.

Ne deriva la piena responsabilità della B. ex art. 2051 c.c. per la carente custodia dei moduli degli assegni con i quali la truffa è stata commessa. 

Questo è il profilo sotto il quale si ritiene responsabile la B. mentre non la si sarebbe potuta ritenere responsabile sotto il profilo della mancata pubblicità del fatto non essendovi nessuna possibilità di informare compiutamente tutti i possibili destinatari potenziali degli assegni del fatto.

Precisato ciò si deve rilevare che non si ritiene che la B. abbia interesse a sollevare il difetto di legittimazione passiva del sig. A. G. in proprio poiché anche se ciò dovesse affermarsi ne deriverebbe che il danno lo avrebbe subito comunque la società A. e l’entità del risarcimento non cambierebbe per la B.. In buona sostanza, ai sensi dell0’art.100 c.p.c., la B. non ha interesse ha contraddire sulla legittimazione attiva del sig. A. G..

In ogni caso da tempo la giurisprudenza riconosce il risarcimento del danno da per lesione di diritti relativi come quelli assunti tra la A. S.a.s. e il sig. A. G. e il commercialista indotto a teste ha attestato che il credito esiste sulle scritture contabili e ha affermato che il credito era attuale al periodo in cui vi fu la transazione. In proposito si rileva che la prova testimoniale sul punto è ammissibile perché la presenza stessa dell’assegno circolare a nome del sig. A. G. costituisce il principio di prova scritta che rende ammissibile la prova testimoniale sul punto.

Per il resto il deprezzamento della macchina è provato in base alla valutazione data dalle pubblicazioni specializzate e tutte le spese per il recupero sono provate.

Ne deriva che il deprezzamento dell’autovettura ammonta ad € 4920,00 e che le spese necessarie per il recupero ammontano ad € 3370,74 per spese legali spagnole, traduzioni, spese notarili, viaggio aereo, vitto e alloggio per la trasferta a Valencia e spese postali e telefoniche (per il dettaglio si vede pag. 6 dell’atto di citazione che viene qui fatto proprio).

Il totale ammonta ad € 8290,00

Non vi è nessuna prova che i comportamenti tenuti successivamente alla truffa dal sig. A. G. e in particolare l’indicazione del numero di telefono cellulare del truffatore nell’integrazione della querela anziché fin dalla querela (ma in proposito riferisce la difesa attrice che il numero è stato subito indicato agli inquirenti solo che non venne scritto immediatamente sulla querela non ravvisandone gli stessi inquirenti verbalizzanti l’immediata necessità di indicarlo avrebbero realmente ridotto l’ammontare del danno in quanto avrebbero procurato un più facile recupero del mezzo. In proposito l’onere della prova ex art 2697 c.c. è a carico del danneggiante e cioè la convenuta B..

Si deve inoltre rilevare che il danno da deprezzamento è un danno di valore su questo è dovuto il danno da ritardo. Per il calcolo degli interessi dovuti quale danno da ritardo (nella misura legale pro tempore vigente) occorre applicare il criterio di cui alla nota sentenza Cass. civ. S.U. 17 febbraio 1995 n. 1712, secondo il quale gli interessi sui debiti di valore vanno calcolati sulla somma corrispondente al valore della somma al momento dell’illecito, via via rivalutata anno per anno sulla base degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. In applicazione di tale criterio al fine del calcolo degli interessi la somma di € 4920,00 calcolata al momento della restituzione della macchina deve essere progressivamente rivalutata di anno in anno e sulla somma progressivamente rivalutata da quella data devono calcolarsi gli interessi al tasso legale in modo tale da determinare il relativo danno da ritardo. Ciò fino alla data della sentenza.

Invece sulle somme pagate per il recupero della macchina esse costituiscono debito di valuta e su queste somme pertanto sono dovuti gli interessi legali dal momento del recupero della macchina, data alla quale gli esborsi devono ritenersi conclusi ed il danno consolidato. Ciò fino alla data della sentenza.

Dal momento della sentenza in poi, fino al saldo effettivo sono dovute su tutte le somme, danno liquidato, somma ottenuta dal calcolo degli interessi nella modalità sopra effettuata per il calcolo da ritardo, danno di valuta per le spese di recupero della macchina, gli interessi legali fino al saldo effettivo.

La B. è soccombente e viene condA.ta a pagare le spese legali in favore degli attori come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Bologna, sezione distaccata di Imola persona del dott. Sandro Pecorella, definitivamente pronunciando nella causa (n.r. 20250/2003) tra

A. G. e A. S.a.s. (avv. A. L. B. e L. B.);

contro

B. P. di L. S.c.a.r.l. (avv. G. G.);

avente per oggetto: risarcimento del danno da fatto illecito.

ogni diversa istanza disattesa e respinta

dichiara che sussiste responsabilità civile della B. P. di L. S.c.a.r.l. quale successore della C. di R.o di I. per insufficiente custodia dei moduli degli assegni circolari in ordine alla truffa subita da A. G. e A. S.a.s. il 30 novembre 2000;

condanna per l’effetto B. P. di L. S.c.a.r.l. a pagare in favore di A. G. e A. S.a.s., la complessiva somma di € 8290,00;

condanna B. P. di L. S.c.a.r.l. a pagare in favore di A. G. e A. S.a.s. sulla somma di € 4920,00, liquidata quale deprezzamento dell’automobile, gli interessi legali, calcolati su questa somma rivalutata di anno in anno dalla data medesima fino alla data della presente sentenza, oltre gli interessi legali sulle restanti somme pagate a titolo di spese per il recupero dell’automobile dalla data di effettivo recupero della stessa e oltre gli ulteriori interessi legali su tutte le somme dalla data della presente sentenza fino al pagamento effettivo;

condanna B. P. di L. a pagare in favore di A. G. in proprio e A. S.a.s. le spese di causa da costoro sostenute che liquida in complessivi € 4755,53 di cui € 249,10 per spese, € 1526,43 per competenze ed € 2980,00 per onorari, oltre 12,5 % per spese generali ed oltre IVA e CPA come per legge.

Sentenza esecutiva per legge.

Imola, 27 ottobre 2007.

Il Giudice