Sentenze

Sentenze

Ordinanza di convalida dell’arresto con applicazione della misura della custodia cautelare-decreto di espulsione e di ordine di allontanamento dal territorio nazionale- dispone la custodia cautelare in carcere, conduzione in istituto di custodia.

29 marzo 2016

Ordinanza di convalida dell’arresto con applicazione della misura della custodia cautelare-decreto di espulsione e di ordine di allontanamento dal territorio nazionale- dispone la custodia cautelare in carcere, conduzione in istituto di custodia.

  

 

Tribunale di Bologna

Sezione distaccata di Imola

Ordinanza di convalida dell’arresto con applicazione della misura della custodia cautelare in carcere

Artt. 391 comma 4, 449 comma 1° e 566 comma 6 c.p.p.

 

Il Tribunale di Bologna, sezione distaccata di Imola, in persona del dott. Sandro Pecorella,

visti gli atti relativi all’arresto del sig. C. A. M.;

sentito l’Imputato, nonché il Difensore e il Pubblico Ministero:

innanzitutto si deve rilevare come, indipendentemente da quanto osservato dalla Difesa in materia di illegittimità costituzionale e di illiceità della mancata concessione del permesso di soggiorno, l’arresto operato nei confronti dell’imputato è comunque legittimo.

Infatti in questa sede si deve valutare solo la legittimità dell’adozione della misura precautelare considerando che, ovviamente, la P.G. poteva valutare la legittimità del suo operato solo sulla base di un mero apprezzamento degli atti a sua disposizione.

Di questi atti si deve dire che si tratta di decreto di espulsione e di ordine di allontanamento dal territorio nazionale formalmente ineccepibili e sulla cui validità gli Operanti devono potere contare, a prescindere dalla esattezza dei rilievi mossi dalla Difesa sul merito degli stessi. Dato atto di ciò si deve dire che il decreto di espulsione e l’ordine di allontanamento dal territorio nazionale sussistono.

Dunque esistono di per se elementi che dicono come sia stato violato il disposto dell’art. 14 ter prima ipotesi D.Lv. 286/98 così come novellato dal D.L. 241/2004 convertito in L. 271/2004.

Si tratta di fattispecie di arresto obbligatorio, con conseguente procedibilità per mezzo del rito direttissimo, previsto dall’art. 14 comma 5 quinquies del T.U.

Si rileva anche che sono stati rispettati i termini di cui all’art. 558 comma 2° c.p.p.

Pertanto, visti gli artt. 558 e 391 comma 4 c.p.p.

 

convalida

l’arresto in oggetto;

rilevato che il P.M. ha chiesto la misura della custodia cautelare in carcere, preso atto che sussistono gravi indizi di colpevolezza e esigenze cautelari come vedremo più sotto e che non vi è la possibilità di accordare neppure in astratto la sospensione condizionale della pena poiché i precedenti dell’imputato sono ostativi, diventano così rilevanti le eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate dalla Difesa.

La prima riguarda un possibile mancato coordinamento tra la disciplina di cui all’art. 14 comma 5 bis e ter T.U. così come da ultimo modificati e l’art. 13 comma 8 del T.U. come da ultimo modificato, con l’attribuzione della procedura giurisdizionale ivi descritta al Giudice di Pace anziché al Tribunale di composizione monocratica.

Evidenzia la Difesa come lo straniero soggetto a provvedimento di espulsione, con ordine di allontanamento emesso a suo carico dal Questore ai sensi dell’art. 14 comma 5 bis T.U., abbia solo cinque giorni di tempo per lasciare il territorio nazionale dopo di che, salva l’esistenza di giustificati motivi, che non possono essere evidentemente ritenuti sussistenti nella semplice pendenza del termine di cui si dirà, si perfeziona una fattispecie delittuosa assai grave, con obbligatorietà dell’arresto anche al di fuori delle ipotesi di flagranza, di cui peraltro è assai difficile riscontrare la mancanza data la ritenuta natura permanente del reato, con possibilità di essere sottoposto anche alla misura cautelare oggi chiesta dal P.M.

A fronte di ciò sta la possibilità per il cittadino extracomunitario di potere impugnare il decreto di espulsione del Prefetto nel termine di sessanta giorni dalla data de provvedimento. Nel presente caso il sig. C. è ancora in termini per svolgere questo ricorso poiché il decreto porta la data del 25 marzo 2005.

Evidenzia la Difesa che tale discrasia dei termini comporta una violazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione, rendendo la differenza dei termini molto difficile l’esercizio del diritto di Difesa.

Rileva lo scrivente che il legislatore appare ben conscio di questa differenza di termini tanto è vero che ha disposto la possibilità di presentare il ricorso anche alle rappresentanze diplomatiche o consolari, con un procedimento semplificato per quanto riguarda l’autentica della sottoscrizione del ricorso, la possibilità di nominare difensore, la possibilità di essere ammesso al patrocinio dello Stato e anche prevedendo la necessità di nomina di Difensore d’ufficio nel caso manchi un Difensore di fiducia.

L’unica cosa che la legge non consente è la sospensione dell’esecutività del decreto di espulsione e del conseguente ordine di cui all’art. 14 comma 5 bis T.U. per la semplice presentazione dell’ordine di espulsione.

Si rileva che il legislatore ha comunque garantito la possibilità di esercitare il diritto di Difesa, sia pure non garantendo la possibilità di permanenza nel territorio dello Stato per comparire di fronte al Giudice per lo svolgimento del contraddittorio e che tale possibilità appare legittima ai sensi degli artt. 24 e 111 Cost. alla luce della necessità del contemperamento tra e esigenze del diritto di Difesa e l’esigenza dello Stato di assicurare la sicurezza in modo effettivo.

Si rileva per inciso che la materia della permanenza del cittadino straniero privo di legittimazione nel territorio dello Stato non appare compresa nella materia di cui all’art. 13 Cost. per cui non possono valere nel presene caso le ragioni che hanno indotto C.Cost. 222/2004 a ritenere l’incostituzionalità dell’art. 13 T.U. nella parte in cui prevedeva l’esecutività dell’ordine di accompagnamento alla frontiera in pendenza del giudizio di convalida dello stesso, incostituzionalità a cui la novella indicata ha pure posto rimedio.

L’eccezione di incostituzionalità appare manifestamente infondata.

La Difesa in questa sede si è pure riportata alla sollevata eccezione di illegittimità costituzionale di cui all’ordinanza del 10 dicembre 2004 n. 544 del Tribunale di Genova, che ha fatto propria, sostenendo l’illegittimità del novellato art. 14 ter poiché sarebbe irragionevole sotto il profilo della violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione il macroscopico aumento di pena che si è avuto con la novella.

Evidenzia il Tribunale di Genova, e dunque la Difesa, pur riconoscendo al legislatore discrezionalità nello stabilire quali comportamenti debbano essere puniti e quali devono essere la qualità e la misura della pena, che la Corte Costituzionale ha però chiarito che (sentenza 409/89) il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 comma 1 Cost. esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo tale che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo sia alla funzione di difesa sociale che a quello di tutela delle posizioni individuali.

Tale funzione non verrebbe adempiuta se non venisse rispettato il principio della ragionevolezza.

Inoltre il criterio di proporzionalità porta a negare legittimità alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalità dello Stato mediante la prevenzione arrechino all’individuo danni che non sono proporzionati ai vantaggi conseguiti dallo Stato. Viene inoltre evidenziato come pene sproporzionate vanifichino il fine rieducativo della pena previsto dall’art. 27 comma 3° Cost.

Viene pertanto confrontata la disciplina in esame con quella di cui all’art. 650 c.p. e all’art. 2 L. 1423/56 che hanno natura contravvenzionali e che, in relazione questa seconda contravvenzione, si riferiscono a persone che sono realmente pericolose per i loro precedenti e non solo potenzialmente come sono gli stranieri privi di permesso di soggiorno.

Ritiene lo scrivente che le situazioni sono invece assai diverse poiché in tutti e due i casi chiamati a raffronto si tratta di ipotesi dove il soggetto della norma penale può trovare nella norme penali di cui all’art. 2 L 1423/56 e 650 c.p. delle efficaci controspinte al reato per ragioni che sono inerenti al radicamento nel tessuto sociale e nazionale, particolarmente evidente nei casi di cui all’art 2 L. 1423/56, dove lo Stato ha possibilità (cfr. art. 2) persino di spostare forzosamente i violatori dell’ordine che è protetto dalla sanzione penale, possibilità che non sussiste per quanto riguarda le espulsioni, che richiedono necessariamente la collaborazione con atri soggetti statali.

Tali situazioni invece non sussistono nel caso di cittadini stranieri di cui diventa assai spesso difficile persino verificare anche la esatta identità.

È noto che il fenomeno delle immigrazioni clandestine è diventato un problema serissimo e che lo Stato è evidentemente legittimato ad affrontare anche con la sanzione penale. Preso atto di ciò, preso atto che con sentenza 223/2004 la C.Cost. ha ritenuto come la previgente disciplina fosse incostituzionale per quanto riguarda l’arresto obbligatorio proprio nel punto in cui le sanzioni previste non consentivano di applicare misure cautelari, facendo diventare così la misura precautelare dell’arresto fine a se stessa e pertanto irragionevole, preso atto che la necessità di una misura realmente efficace per costituire una controspinta al reato è evidente e che dunque deve essere data possibilità allo Stato di prevedere una misura realmente efficace per la tutela dell’interesse alla sicurezza, appare allo scrivente evidente che le situazioni poste come termini di confronto non sono raffrontabili e dunque la questione della violazione dell’art. 3 Cost. per irragionevolezza della sanzione penale è manifestamente infondata.

Per quanto riguarda la mancanza di una funzione educativa in una pena così alta a fronte di un fatto di pura disobbedienza come si appare essere la violazione dell’art. 14 ter, si rileva che la pena va da un minimo di un anno ad un massimo di quattro anni, che non manca nell’ordinamento la possibilità di disporre strumenti sostitutivi della pena come quello di cui all’art. 16 del D.Lv. 286/98, particolarmente indicato nel caso concreto e, pertanto, non si ravvisa una mancanza di funzione rieducativa della pena nel caso concreto. Anche da questo punto si rileva che l’’eccezione di incostituzionalità è manifestamente infondata.

In buona sostanza, non si condivide l’ordinanza di rimessione del Tribunale genovese.

A questo punto si deve considerare che a carico del sig. C. sussistono gravi indizi di commissione del reato in esame. Infatti ha ammesso di avere ricevuto l’ordine di allontanamento dal territorio nazionale che è tradotto nella sua lingua anche se appare evidente come lo stesso conosca bene l’italiano.

Il fatto che non sia riuscito ad allontanarsi perché il passaporto è scaduto e che tale fatto gli sarebbe stato fatto rilevare in Austria dove si era diretto per rispettare l’ordine di espulsione, seguendo un itinerario che lo avrebbe portato in patria è rimasto non verificabile in concreto almeno allo stato. Si rileva che il sig. C. ben poteva accorgersi della scadenza del passaporto poiché è scritta nello stesso e che invece di recarsi presso una autorità consolare o diplomatica del proprio paese per ovviare al problema avrebbe preferito tornare in patria senza passaporto. Il fatto che fosse arrivato, a suo dire, in Austria attesta la possibilità di avere possibilità economiche per un viaggio e pertanto anche la mancanza di sufficiente denaro appare improbabile.

Si rileva la difficile prospettiva dell’accoglimento del ricorso al TAR proposto atteso che a carico dell’odierno imputato non sussistono mere denunce, ma condanne vere e proprie, come risulta dal certificato penale. Non si vede la possibilità di accoglimento di un ricorso avverso l’ordine di espulsione, atteso che lo stesso, allo stato non è ancora stato proposto in pendenza di termini.

Dunque da tutti i punti di vista i gravi indizi di colpevolezza sussistono.

Si rileva a questo punto che il sig. C. è da cinque anni clandestino in Italia come risulta pure dai precedenti penali oltre che dalle dichiarazioni dello stesso. Lo stesso non si è allontanato nonostante il rigetto dell’istanza di regolarizzazione (il ricorso al TAR presentato con istanza di sospensiva, non pare abbia dato fin qui esito nonostante porti la data del 5 novembre 2003).

Sono pertanto evidenti i pericoli di reiterazione del reato, in relazione a reati della stessa indole di quelli per cui qui si procede, che giustificano l’applicazione di una misura cautelare ai sensi dell’art. 274 lett.

C) c.p.p.

Quanto alla misura da applicare, non è emerso a favore dell’imputato alcun legame con il territorio. Lo stesso abitava in una casa della parrocchia all’insaputa del parroco, è da solo in Italia, non ha un rapporto di lavoro legale e non vi è nessuno che possa sostenerlo. È dunque impossibile applicare una misura cautelare diversa da quella della custodia in carcere che è legittima sussistendo il limite edittale di pena non inferiore nel massimo a quattro anni, fermo restando che la stessa misura potrà essere immediatamente revocata e sostituita appena appariranno sussistere i presupposti per fare ciò.

Applica

Pertanto a C. A. M. la misura cautelare della custodia cautelare in carcere disponendo che lo stesso sia condotto in un istituto di custodia per rimanervi a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.

Dispone che copia della presente ordinanza sia trasmessa, dopo l’esecuzione, al direttore dell’Istituto Penitenziario perché provveda agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p.

Si dispone che si proceda a giudizio direttissimo, avvisando l’imputato presente che può chiedere l’applicazione della pena su richiesta, il giudizio abbreviato e un termine a difesa non superiore a cinque giorni.

Imola, 20 aprile 2005.

Il Giudice