Sentenze

Sentenze

Non ottemperato decreto di respingimento alla frontiera- artt. 62 bis c.p.,442,533 e 535 c.p.p.- condanna a cinque mesi e dieci giorni di reclusione oltre al pagamento spese processuali dell’erario-art. 163 c.p. sospensione condizionale della pena.

29 marzo 2016

Non ottemperato decreto di respingimento alla frontiera- artt. 62 bis c.p.,442,533 e 535 c.p.p.- condanna a cinque mesi e dieci giorni di reclusione oltre al pagamento spese processuali dell’erario-art. 163 c.p. sospensione condizionale della pena.

  

Motivazione

In seguito ad arresto in flagranza il sig. E. C. è stato tratto a giudizio direttissimo a piede libero per il delitto in imputazione indicato.

Si è proceduto nella sua dichiarata contumacia e la Difesa munita di procura speciale, dopo la convalida dell’arresto, ha svolto istanza di giudizio abbreviato condizionato in ordine alla richiesta di asilo politico alla quale l’imputato sta procedendo.

Ammesso il rito abbreviato, il processo è stato subito discusso e deciso come da presente sentenza con motivazione contestuale.

Dal decreto di respingimento alla frontiera, dall’ordine del Questore e dal verbale di identificazione si desume la permanenza dell’imputato nel territorio nazionale, in spregio ai predetti decreto di respingimento alla frontiera e ordine di allontanamento dal territorio nazionale.

Il decreto e l’ordine è stato tradotto in lingua inglese.

 Il primo problema è decidere se il fatto sia è previsto dalla legge come reato siccome nella norma incriminatrice è previsto solo il caso dell’ordine di allontanamento emesso in seguito a decreto di espulsione e non in seguito a decreto di respingimento alla frontiera.

La questione è già stata affrontata da giurisprudenza di legittimità che si è ormai consolidata. Da ultimo si può vedere Cass. Pen. sez. 1 del 14 novembre 2007 depositata il 22 novembre 2007 n. 43318 del 2007 per la quale il reato sussiste anche nel caso di ordine di allontanamento dal territorio nazionale in seguito a respingimento alla frontiera.

Sulla base delle argomentazioni indicate dalla Corte, si osserva che dalla previsione contenuta nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 bis, così come modificato, da ultimo, dal D.L. 14 settembre n. 241, art. 1, comma 5 bis convertito con modificazioni nella L. 12 novembre 2004, n. 271 risulta esplicitamente che l'ordine di allontanamento può essere emesso dal Questore anche nell'ipotesi di respingimento prevista dal precedente art. 10.

Ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 13, comma 2, lett. a) e art. 10, commi 1 e 2, lett. a), e successive modifiche il potere di respingimento è attribuito rispettivamente alla polizia di frontiera nei confronti degli stranieri che si presentino ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti dal testo unico sull'immigrazione per l'ingresso nel territorio dello Stato (art. 10, comma 1) e al Questore nei riguardi degli stranieri che siano stati fermati all'ingresso nel territorio nazionale o subito dopo con elusione dei controlli di frontiera (art. 10, comma 2, lett. a).

Il potere di espulsione riservato, ai sensi dell'art. 13, comma 2, lett. a) al Prefetto nei confronti dello straniero che sia entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera scatta, quindi, subordinatamente al mancato esercizio, da parte delle competenti Autorità di pubblica sicurezza, del potere di respingimento disciplinato dal citato art. 10.

In altri termini, nei casi di ingresso illegale dello straniero nel territorio dello Stato con sottrazione dei controlli di frontiera, il decreto prefettizio di espulsione presuppone l'omessa adozione di un provvedimento di respingimento.

In questa cornice procedimentale, il richiamo espresso, operato dall'art. 14, comma 5 ter, alla inottemperanza dell'ordine "impartito dal Questore ai sensi del comma 5 bis" - disposizione quest'ultima riferita sia alle ipotesi di espulsione che a quelle di respingimento - e il letterale riferimento, presente nel comma 5 ter, alla espulsione "per ingresso illegale sul territorio nazionale ai sensi dell'art. 13, comma 2, lett. a)...", che, come detto, presuppone il mancato respingimento ad opera del Questore ex art. 10, comma 2, lett. a) consente di affermare che il reato previsto dall'art. 14, comma 5 ter può configurarsi anche nell'ipotesi in cui l'ordine del Questore trovi il suo presupposto e antecedente logico non nel decreto prefettizio di espulsione, bensì nel provvedimento di respingimento adottato dall'Autorità di pubblica sicurezza ai sensi dell'art. 10, comma 2, lett. a) (vedi anche Cass., Sez. 1, 21 giugno 2006, n. 34461, rv. 235257; Cass., Sez. 1, 29 novembre 2006, n. 41564, rv. 235999).

Una conclusione del genere è suffragata dall'analisi delle modifiche normative che si sono succedute nel tempo che, pur lasciando immutata la previsione dell'ordine di allontanamento, adottato dal Questore sia nei confronti dei soggetti espulsi che di quelli respinti, si è limitato a diversificare quoad poenam la situazione di chi fosse stato intimato a seguito di un'espulsione per le ipotesi di cui all'art. 13, comma 2, lett. a), c), b) (per l'assenza originaria o sopravvenuta del titolo di soggiorno) da quella di colui che fosse incorso nella meno grave situazione espulsiva prevista dall'art. 13, comma 2, lett. b), concernente l'assenza di istanza di rinnovo del permesso di soggiorno scaduto.

Una diversa lettura porterebbe a conseguenze illogiche sul piano della coerenza interpretativa e irragionevolmente diverse nei confronti di soggetti che hanno posto in essere le medesime condotte, entrando nel territorio nazionale con elusione dei controlli di frontiera.

In secondo luogo dalle stesse argomentazioni si rileva che non ha rilevanza il luogo nel quale il decreto di respingimento alla frontiera viene svolto, ma è solo l’oggettività della condotta riscontrata e cioè l’accertamento dell’accesso abusivo al paese nel quale viene sorpreso il soggetto che deve essere affrontato con lo strumento del respingimento alla frontiera. Pertanto non rileva il fatto che materialmente il decreto di respingimento sia stato fatto ad A. perché quella di A. è semplicemente la Questura nel cui ambito territoriale è stato riscontrato il comportamento dell’odierno imputato cosa che è avvenuta in L., dove vi è certamente la frontiera dello Stato.

Altro problema è quello della richiesta di asilo politico delle quali il sig. E. è intenzionato a presentare anche se non l’ha ancora presentata.

In effetti risulta che l’appuntamento con la Questura di R. per la presentazione della domanda è per la data odierna.

L’art. 6 della vigente legge (D.Lv. 25 del 2008) che regola la materia dell’asilo indica che la domanda debba essere presentata personalmente. L’art. 7 della medesima legge fa decorrere dalla presentazione di questa domanda il diritto dell’imputato di rimanere in Italia fino al termine della procedura. Pertanto il fatto che la domanda non sia stata fino al momento dell’arresto presentata indica che la condizione per rimanere in Italia sulla base della citata legge al momento non sussisteva. Da questo punto di vista il fatto che l’imputato avesse intenzione di presentare richiesta di asilo non costituisce legittimo motivo per rimanere in Italia.

Si deve però considerare se le argomentazioni sottostanti alla potenziale richiesta di asilo che si evincono nella richiesta dell’avv. M. alla Questura di A. al fine di ottenere l’annullamento in autotutela del decreto di respingimento possano costituire di per se giustificato motivo.

Di queste si deve dire che non sono affatto provate. Riferisce il Difensore in quella istanza che il sig. E. è orfano a causa di una guerra civile nel delta del N., regione dalla quale afferma di provenire. Non è però indicato alcun motivo specifico di persecuzione politica, religiosa o razziale a suo carico che sono il motivo che giustifica la protezione internazionale.

Dalle medesime indicazioni del suo difensore alla Questura di A. non si desume l’esistenza delle condizioni di cui agli artt. 7 e ss. del D.Lv. 251/2007 che consentano di attribuire al sig. E. lo stato di rifugiato. L’unico elemento che potrebbe essere valutato in favore dell’imputato è se la situazione esistente nel delta del N. possa legittimare alla protezione sussidiaria di cui all’art. 14 lett. c. in relazione alla possibilità di danno grave alla persona. Tuttavia dalle stesse argomentazioni contenute nell’istanza non si desume l’esistenza di un pericolo di danno specifico alla persona perché non è indicato una specifica situazione del suo paese che possa indicare l’esistenza di un danno al sig. E. personalmente.

Pertanto anche da questo punto di vista la situazione del sig. E. non costituisce giustificato motivo.

Resta infine l’argomento economico. Nel corso dell’arringa difensiva vi è stato infatti riferimento al c.d. motivo economico e cioè la dedotta impossibilità di tornare al proprio paese per carenza di soldi e di documenti.

Da tutto ciò che l’imputato ha fatto nel corso della sua permanenza in Italia si desumerebbe che egli è comunque in gravi difficoltà economiche e che le stesse costituiscano un giustificato motivo a non ottemperare all’ordine di allontanamento dal territorio nazionale.

Tuttavia tale impostazione è già stata portata all’esame del Giudice di legittimità che, con sentenza della Sezione Prima del 9 maggio 2006 n. 19086, l’ha convincentemente disattesa.

Scrive infatti la Corte, la quale richiama anche la sentenza della Corte costituzionale n. 5 del 2004, che “…la disponibilità di mezzi economici occorrenti per l’adempimento dell’obbligo del Questore di lasciare il territorio dello Stato italiano non è infatti logicamente collegata al reperimento di un lavoro stabile, potendo derivare da qualsiasi attività, anche illecita o comunque non stabile e per converso la difficoltà per il clandestino di reperire un lavoro stabile regolare costituendo una condizione tipica della sua posizione, non è idonea ad integrare un “giustificato motivo” dell’inadempimento dell’obbligo di lasciare il territorio dello Stato, apparendo tale obbligo privo di significato giuridico qualora fosse sufficiente allegare la mancanza di un lavoro stabile –  che è propria di tutti i clandestini – per disattenderlo.

Ritiene dunque la corte che il motivo in questione e il motivo economico in generale, non possa identificare il giustificato motivo che giustifica l’inadempimento dell’obbligo in quanto “…trattasi di situazione di per sé indifferente in relazione alle finalità della incriminazione ed al quadro normativo in cui si inserisce che è diretto a provocare l’allontanamento degli stranieri clandestini dal territorio nazionale tutte le volte che ciò non sia impossibile o pericoloso per il migrante.

Ne deriva che l’impossibilità economica assoluta non costituisce giustificato per non ottemperare all’ordine di allontanamento dal territorio dello Stato.

L’orientamento è ancora più esplicitamente confermato da Cass. Pen. sez. 1 del 26 ottobre 2006 depositata il 7 dicembre 2006 n. 40315 per la quale la prova della sussistenza di giustificato motivo è a carico dell’interessato e non può consistere con l’allegazione di esigenze tipiche della condizione di migrante clandestino, quali la mancanza di lavoro stabile o la provenienza di mezzi economici da attività irregolari o non stabili che sono la condizione al quale l’interessato, con l’ingresso clandestino nel paese si è di fatto posto da solo.

Da queste argomentazioni, ritenuto che l’imputato abbia compreso quanto ordinatogli e la mancanza di giustificato motivo si desume la sua penale responsabilità per il reato a lui ascritto.

Il sig. E. è incensurato e si tratta inoltre di persona sicuramente lontana da casa e con difficoltà e pertanto la si ritiene meritevole delle attenuanti generiche.

Considerato i criteri di cui all’art. 133 c.p. si ritiene di dover irrogargli la pena di mesi otto di reclusione (pena base anni uno di reclusione così ridotta per le generiche).

Applicata la diminuente del rito ne consegue che la pena da irrogare è di mesi cinque e giorni dieci di reclusione.

Consegue anche la condanna al pagamento delle spese processuali sostenute dall’erario.

Il sig. E., come già detto è incensurato e può godere della sospensione condizionale della pena. Si ritiene che lo stesso si asterrà dal commettere ulteriori reati e segnatamente anche il reato per cui è oggi processo atteso che non risultano pendenze di alcun genere a suo carico e che in seguito alla condanna per questo reato dovrà essere disposta esecuzione coattiva dell’espulsione a norma del medesimo art. 14 comma cinque ter, cosa che esclude in radice la possibilità di commettere il medesimo reato.

P. Q. M.

Visti gli artt. rubricati, 62 bis c.p., 442, 533 e 535 c.p.p.,

dichiara E. C. colpevole del delitto a lui ascritto e riconosciute in suo favore le circostanze attenuanti generiche, applicata la diminuente del rito. per l’effetto lo condanna alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali sostenute dall’erario.

Visto l’art. 163 c.p. dispone la sospensione condizionale della pena nei termini di legge.

Imola, 17 dicembre 2008.

Il Giudice