Sentenze

Sentenze

Non ottemperanza decreto di espulsione- artt. 442, 533 e 535 c.p.p.- condanna a otto mesi di reclusione oltre il pagamento delle spese processuali a carico dell’erario- art. 163 c.p. dispone la sospensione condizionale della pena nei termini di leg

29 marzo 2016

Non ottemperanza decreto di espulsione- artt. 442, 533 e 535 c.p.p.- condanna a otto mesi di reclusione oltre il pagamento delle spese processuali a carico dell’erario- art. 163 c.p. dispone la sospensione condizionale della pena nei termini di legge.

 

Motivazione

In seguito ad arresto speciale previsto dall’art. 14 comma 5 quinquies D.Lv. 286/98, il sig. L. J. F. è stato arrestato e condotto in udienza per la convalida dell’arresto ed il contestuale giudizio direttissimo. Convalidato l’arresto, senza applicazione di alcuna misura cautelare, l’imputato, assistito dall’interprete, tramite il suo Difensore, ha chiesto che si procedesse con rito abbreviato.

Ammesso il rito si rileva che, dalla C.N.R., dal decreto di espulsione, dall’ordine del Questore, dal verbale di arresto, dalla relazione dell’Ufficiale di P.G. si desume la permanenza dell’imputato nel territorio nazionale, in spregio ai predetti decreti di espulsione e ordine di allontanamento dal territorio nazionale.

Il decreto e l’ordine è stato tradotto nella lingua corrispondente alla nazionalità dell’imputato ed è stato acquisito che egli ha ben compreso che doveva andarsene entro cinque giorni.

Dalle dichiarazioni acquisite da lui acquisite si desume, infatti, che egli ha capito bene che doveva andare via dall’Italia, ma che non l’ha fatto perché non ha soldi e perché non saprebbe che lavoro fare in un paese diverso dall’Italia.

Ritiene pertanto la Difesa che il sig. L. J. F. abbia un giustificato motivo che lo legittimi a rimanere in Italia senza rispettare l’ordine di allontanamento emesso dal Questore.

Infatti dalle dichiarazioni dell’imputato emergerebbe che non abbia la possibilità economica di tornare al loro paese.

Si desumerebbe pertanto che egli è in gravi difficoltà economiche  e che le stesse costituiscano un giustificato motivo a non ottemperare all’ordine di allontanamento dal territorio nazionale. La vicenda, secondo la Difesa, ai sensi della norma penale in applicazione, escluderebbe la rilevanza penale del fatto.

Tuttavia tale impostazione è già stata portata all’esame del Giudice di legittimità che, con sentenza della Sezione Prima del 9 maggio 2006 n. 19086, l’ha convincentemente disattesa.

Scrive infatti la Corte, la quale richiama anche la sentenza della Corte costituzionale n. 5 del 2004, che “…la disponibilità di mezzi economici occorrenti per l’adempimento dell’obbligo del Questore di lasciare il territorio dello Stato italiano non è infatti logicamente collegata al reperimento di un lavoro stabile, potendo derivare da qualsiasi attività, anche illecita o comunque non stabile e per converso la difficoltà per il clandestino di reperire un lavoro stabile regolare costituendo una condizione tipica della sua posizione, non è idonea ad integrare un “giustificato motivo” dell’inadempimento dell’obbligo di lasciare il territorio dello Stato, apparendo tale obbligo privo di significato giuridico qualora fosse sufficiente allegare la mancanza di un lavoro stabile –  che è propria di tutti i clandestini – per disattenderlo.

Ritiene dunque la corte che il motivo in questione e il motivo economico in generale, non possa identificare il giustificato motivo che giustifica l’inadempimento dell’obbligo in quanto “…trattasi di situazione di per sé indifferente in relazione alle finalità della incriminazione ed al quadro normativo in cui si inserisce che è diretto a provocare l’allontanamento degli stranieri clandestini dal territorio nazionale tutte le volte che ciò non sia impossibile o pericoloso per il migrante.

Ne deriva che l’impossibilità economica assoluta non costituisce giustificato per non ottemperare all’ordine di allontanamento dal territorio dello Stato.

L’orientamento è ancora più esplicitamente confermato da Cass. Pen. sez. 1 del 26 ottobre 2006 depositata il 7 dicembre 2006 n. 40315 per la quale la prova della sussistenza di giustificato motivo è a carico dell’interessato e non può consistere con l’allegazione di esigenze tipiche della condizione di migrante clandestino, quali la mancanza di lavoro stabile o la provenienza di mezzi economici da attività irregolari o non stabili che sono la condizione al quale l’interessato, con l’ingresso clandestino nel paese si è di fatto posto da solo.

A tutto ciò si aggiunge che dubita lo scrivente che il sig. L. J. F. sia nelle condizioni economiche dette. Infatti ha riferito di essere in Italia dal 2002 e non ha voluto riferire né il luogo dove abita e neppure i luoghi e le aziende dove ha lavorato in condizioni tali da permettergli di mantenersi in Italia.

Ritiene lo scrivente che il contegno complessivo dell’imputato sia in realtà un comodo espediente per cercare di accampare un giustificato motivo per rimanere in Italia, cosa che si rileva anche per il fatto che il sig. L. J. F. continua a non mostrare documenti cosa che è accaduta sia in prima sede di espulsione che nella presente sede di arresto per inottemperanza all’ordine di allontanamento dal territorio nazionale, cosa che è di per se un reato.

Da tutto ciò si desume l’esistenza del dolo del reato non avendo il sig. L. J. F.  fatto niente per dare corso all’ordine di allontanamento dal territorio nazionale e anzi avendolo volontariamente disatteso.

I sig. L. J. F. è incensurato, ma questo solo motivo, ai sensi del nuovo art. 62 bis comma 3° c.p. introdotto dal L. 125/2008, non è motivo sufficiente per la concessione delle attenuanti generiche. Nel caso di specie poi si riscontra un atteggiamento dell’imputato di assoluta mancanza di collaborazione circa la sua futura identificabilità e circa le modalità, certamente criminose da parte di terzi, che gli hanno consentito di rimanere in Italia, che a parere dello scrivente non consentono di applicargli le circostanze attenuanti generiche.

Considerato i criteri di cui all’art. 133 c.p. si ritiene di dover irrogare a lui la pena di anni uno di reclusione che corrisponde al minimo della pena cosa che si ritiene sufficiente al caso di specie.

Considerata la diminuente del rito si irroga concretamente la pena di mesi otto di reclusione.

Consegue anche la condanna al pagamento delle spese processuali sostenute dall’erario.

Il sig. L. J. F., come già detto è incensurato e può godere della sospensione condizionale della pena. Si ritiene che, nonostante il pessimo comportamento processuale che si è detto, egli si asterrà dal commettere ulteriori reati dato che il pessimo comportamento detto è finalizzato solo ad evitare la concreta espulsione dal territorio e che da tale comportamento non si può desumere che vi sia rischio di reiterazione di reati diversi. Infatti è chiaro che il sig. L. J. F. non eseguirà mai spontaneamente un ordine di allontanamento dal territorio nazionale che è il reato per cui è oggi processo, ma, atteso che non risultano pendenze di alcun genere a suo carico e che in seguito alla condanna per questo reato dovrà essere disposta esecuzione coattiva dell’espulsione a norma del medesimo art. 14 comma cinque ter, non è possibile in radice la possibilità di commettere il medesimo reato per cui è oggi processo. Pertanto si desume la necessità di disporre la sospensione condizionale della pena.

P. Q. M.

Visti gli artt. rubricati, 442, 533 e 535 c.p.p.,

dichiara L. J. F. colpevole del delitto a lui ascritto considerata la diminuente del rito per l’effetto lo condanna alla pena di mesi otto di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali sostenute dall’erario.

Visto l’art. 163 c.p. dispone la sospensione condizionale della pena nei termini di legge.

Imola, 4 novembre 2008.

Il Giudice