Sentenze

Sentenze

Maltrattamenti familiari- percosse- artt.62 bis e 81 c.p.- artt.533 e 535 c.p.p.- condanna dell’imputato anche al pagamento delle spese del processo- sospensione condizionale della pena.

29 marzo 2016

Maltrattamenti familiari- percosse- artt.62 bis e 81 c.p.- artt.533 e 535 c.p.p.- condanna dell’imputato anche al pagamento delle spese del processo- sospensione condizionale della pena.

 

 Il processo. Con decreto di citazione diretta del 3 luglio 2006 il P.M. ha disposto il giudizio nei confronti del sig. C. M. per il delitto di maltrattamenti in famiglia e per i delitti di percosse e lesioni in imputazione riportati.

L’imputato non si è presentato a giudizio e si è proceduto nella sua dichiarata contumacia.

Si è proceduto a dibattimento e nel corso di questo è stata acquisita la certificazione del pronto soccorso e le testimonianze richieste dal P.M. e dalla Difesa. Inoltre è stato acquisito un decreto penale di condanna irrevocabile a carico della odierna parte offesa sig.ra S. A..

È stato ritenuto necessario disporre ai sensi dell’art. 507 c.p.p. l’audizione del sig. S. S., figlio della sig.ra S. A..

Esaurita l’assunzione dei mezzi di prova, il processo è stato subito discusso e deciso come da dispositivo letto in udienza.

Motivazione.

Il sig. C. M. e la sig.ra S. A., cittadina tailandese, hanno contratto matrimonio  nel 1999 e da questo matrimonio è nato un figlio, C. S., che ora ha sette anni.

La sig.ra S. che in seguito al matrimonio ha anche conseguito il cognome C. (così è identificata anche nel certificato del pronto soccorso e negli atti introduttivi del processo) era già madre di un bambino S. S., che ora ha sedici anni e che è stato poi sentito come testimone ai sensi dell’art. 507 c.p.p.

Il rapporto coniugale, secondo il racconto della sig.ra S., sentita all’udienza ultima scorsa (la persona offesa si è espressa anche se con difficoltà in Italiano non essendo disponibile un interprete eleggibile, potendo la persona convocata rivestire anche la qualità di testimone ed essendo pertanto incompatibile ai sensi dell’art. 144 lett. D c.p.p.), nell’ultimo periodo, anche in dipendenza di problemi di rilevanza psichiatrica dell’imputato, definito come dipendente da medicine da parte della persona offesa, è stato caratterizzato da continui scontri che hanno portato la sig.ra S. a sporgere più querele tra il 2002 e il 2003, hanno nel quale è avvenuto l’episodio che ha portato alla rottura definitiva della coppia.

Nel corso di quell’episodio, avvenuto il 21 giugno 2003, è intervenuta anche la Polizia Municipale in persona del sig. G. M. ha riferito che la centrale ricevette una telefonata da una persona che parlava a stento l’Italiano e con molta difficoltà compresero che una sua connazionale, proprio mentre parlavano, veniva picchiata dal marito. La persona che chiamava riuscì a fornire l’indirizzo e cioè via V. 115 ad I..

La Polizia Municipale, in persona del sig. G., si recò sul posto e trovò solamente la sig.ra S. (identificata anche quella volta come sig.ra C.) che lamentava di avere appena subito un aggressione da parte del marito. Oltre a lei erano presenti i suoi due figli. Ha riferito il sig. G. che trovarono la sig.ra S. scossa e molto spaventata anche se non arrabbiata e chiese di essere accompagnata al Pronto soccorso.

Dal referto del Pronto soccorso si desume che ella vi è arrivata alle ore 23,14 del 21 giugno 2003 e che gli fu riscontrato oggettivamente un trama cranico minore nonché contusioni allo zigomo sinistro e alla mano sinistra.

Nel corso dell’udienza la sig.ra S. ha riferito che in quella occasione fu lungamente picchiata e poi il sig. C. le ha anche stretto le mani intorno al collo impedendole di respirare per qualche momento. La vicenda si è ripetuta ancora successivamente dopo che lei aveva provato a chiamare aiuto una prima volta. Dopo di ciò il sig. C. se ne è andato per andare in montagna con sua madre e ha lasciato li lei e i suoi due figli.

Risulta anche che già il precedente 12 giugno 2003 la sig.ra S. (anche quella volta identificata come C.) si era recata al pronto soccorso e anche quella volta le sono stati riscontrati i segni oggettivi di un trauma pluricontusivo da percosse con contusione allo zigomo sinistro con ematoma focale, trauma cranico minore con obbiettivo neurologico nella norma e contusione alla spalla sinistra. La prognosi in quella occasione è stata di giorni dieci.

La sig.ra S. ha riferito che il sig. C. ha avuto sempre un atteggiamento molto violento nei suoi confronti ed è arrivato a picchiarla anche nel corso della gravidanza.

La pluralità degli episodi di violenza nei confronti della madre è anche ricordato dal figlio minore S. S. che ricorda in particolare come la madre venisse spesso picchiata quando i due erano in macchina e che per il resto ricorda che quando litigavano violentemente egli veniva anche mandato in camera sua perché non assistesse, cosa che è successa anche l’ultima volta, in seguito a alla quale uscirono di casa.

La sig.ra S. ha anche ricordato la vicenda della quale ha riferito anche la sig.ra P. B. nella quale avrebbe inseguito il sig. C. con un grosso coltello da cucina. Ha riferito la persona offesa che ella prese quel coltello per difendersi.

La sig.ra S. ha anche confermato tutte le accuse in relazione alla privazione del mazzo di chiavi e degli scarsi mezzi economici che il marito le provvedeva.

Questi fatti sono solo parzialmente smentiti dalle testimonianze dei genitori del sig. C. i quali riferiscono di un carattere difficile della persona offesa che avrebbe per questo motivo trovato difficoltà anche nei lavori che le sono stati procurati. Viene indicato che l’imputata era munita di un suo mazzo di chiavi e che ella era a volte provveduta dai suoceri della spesa. Inoltre viene indicato che la sig.ra S. era continuamente alla ricerca di denaro da mandare a parenti in T..

Tuttavia queste testimonianze non riescono assolutamente ad annullare le emergenze oggettive di plurime aggressioni da parte del sig. C. nei confronti della sig.ra S. che sono anche oggettivate da ben due certificati del pronto soccorso a distanza di nove giorni l’uno dall’altro.

Risulta perciò pienamente suffragato un quadro quantomeno di plurimi maltrattamenti fisici in particolare nell’ultimo anno che ritiene lo scrivente siano arrivati a costituire il sistema di vita di maltrattamenti stigmatizzato dalla norma penale incriminatrice.

Da questo punto di vista, le dichiarazioni della sig.ra S. circa l’utilizzo a scopo difensivo del coltello sono più che credibili e ritiene lo scrivente che a tal fine non sia particolarmente significativo il decreto penale di condanna che pare dovuto più che altro a una evidente difficoltà della sig.ra S. a difendersi nel corso di un procedimento come quello per decreto a fronte delle ancora grandi difficoltà linguistiche mostrate dalla medesima anche nel corso della testimonianza nonostante la permanenza di circa sette anni in I.. Si ricorda anche che il decreto penale di condanna non ha, ai sensi dell’art. 238 bis c.p.p., il medesimo effetto delle sentenze penali di condanna e a supporto di questa ridotta rilevanza, causata indubbiamente dal fatto che non vi è contraddittorio, si deve anche evidenziare che gli effetti delle sentenze di condanna nei giudizi diversi da quelli penali, ai sensi degli artt. 651 e 653 c.p.p., non si estendono ai decreti penali di condanna.

All’esito di questa istruttoria si deve pertanto osservare come appaia riscontrata l’ipotesi dei maltrattamenti avanzata dal Pubblico Ministero. Infatti perché si abbia questa figura di delitto deve sussistere una pluralità di condotte ripetute nel tempo (cfr. Cass. Pen. 13 luglio 1988 in Riv. Pen. 1990, 498 - da qui la nozione di reato abituale del quale l’art. 572 c.p. sarebbe la tipica espressione) che abbiano la caratteristica di rendere la persona offesa da questo reato sottoposta ad un sistema di comportamenti offensivi che, nel caso del delitto di maltrattamenti in famiglia siano definibili come tali.

La legge non precisa in che cosa consistano questi maltrattamenti, ma si deve ritenere che rientrano in tale nozione tutti i fatti che ledono e pongono in pericolo ben che l’ordinamento giuridico protegge come l’incolumità personale, la libertà, l’onore, ecc. Il reato, però, non può essere circoscritto in questi limiti, perché, nel pensiero della legge, esso comprende tutti i fatti che, comunque, producono sofferenze fisiche  morali in colui che li subisce e che sono riprovati dalla coscienza pubblica in quanto ritenuti vessatori (cfr. Cass. pen. 8 marzo 1991 in Mass. Dec. Pen. 1991; Cass. pen. 9 giugno 1983 in Riv. Pen. 1984, 445).

In dottrina è evidenziato come i confini tra il lecito e l’illecito in questo terreno sono non poco evanescenti e, perciò, come in tutti i casi simili, molto rimane affidato al saggio apprezzamento del giudice, il quale dovrà tenere anche conto della condizione sociale e della situazione particolare delle persone. Non è dubitabile che nella figura criminosa rientrino – nei limiti accennati – i fatti che producono sofferenze soltanto morali, come spavento, angoscia, disgusto morale (es. costrizione ad azioni degradanti) e che il reato può commettersi mediante omissione.

Quanto al dolo, conformemente a quanto si ritiene per tutti i reati abituali, per il delitto di maltrattamenti in famiglia (che è comunque un reato a dolo generico) si ritiene che debba essere considerata sufficiente la coscienza e la volontà, di volta in volta, delle singole condotte, accompagnate dalla consapevolezza che la nuova condotta si aggiunga alle precedenti, dando vita con queste al predetto sistema di comportamenti offensivi. Nel momento in cui il soggetto vuole la nuova, ennesima, condotta che dà vita od integra ulteriormente il sistema di comportamenti offensivi, acquisisce altresì la coscienza e volontà dell’abitualità della condotta di avere realizzato siffatto sistema offensivo, che costituisce appunto l’evento unitario del reato abituale. Ciò che si rimprovera all’agente è di avere voluto persistere in un certo modo di agire, di non avere desistito nonostante la consapevolezza del suo precedente agire.

Il reato si perfezione allorché è stato realizzato il minimum di condotte e con la frequenza, necessari ad integrare quel sistema di comportamenti in cui si concreta tale reato e la cui valutazione è affidata alla discrezionalità del giudice. Si consuma allorché cessa la condotta reiterativi.

Nel presente caso, noi abbiamo la prova proveniente dalla medesima persona offesa confermate dalle emergenze documentali (i due certificati del pronto soccorso a distanza ravvicinata) e dalla testimonianza del figlio che indicano come soprattutto nell’ultimo anno vi fu la sottoposizione della sig.ra S. ad un vero e proprio regime di vita nell’ambito del quale è stata sottoposta a percosse e che nelle occasioni indicate nei due certificati del pronto soccorso si sono tramutate in vere proprie lesioni.

Dunque gli episodi non costituiscono degli episodi isolati, ma l’espressione di un vero e proprio sistema di vita di vessazione e soprusi.

Dunque sussiste l’elemento oggettivo della sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia.

Il dolo, come già detto, è generico e consiste nella coscienza e volontà delle singole condotte cosa che non può essere posta in dubbio poiché l’imputato ha inflitto volontariamente le lesioni ed i maltrattamenti aggiunta alla consapevolezza delle precedenti condotte. Tale consapevolezza nel caso di specie è resa dal breve intervallo temporale che intercorre tra i diversi episodi.

Risulta anche raggiunta la prova del reato di lesioni ex art. 582 c.p. contestato dal P.M. in relazione alle percosse del 21 giugno 2003.

Il fatto è da fare risalire alla azione del sig. C..

Nessun dubbio, come già detto, sussiste sulla volontarietà della condotta e dunque sull’esistenza del dolo.

Invece le plurime percosse di cui ha testimoniato la sig.ra S. per quanto provate, non costituiscono l’autonomo reato di percosse perché la violenza è elemento costitutivo del reato di maltrattamenti e del reato di lesioni e pertanto il reato di percosse è assorbito nel reato di maltrattamenti ai sensi dell’art. 581 comma 2° c.p.

I reati sono stati commessi in concorso formale tra di loro.

Infatti con la medesima azione, quella con cui il sig. C. M. infliggeva lesioni, lo stesso commetteva sia il reato di lesioni che uno dei comportamenti abituali in cui si sostanzia il delitto di maltrattamenti in famiglia.

Dunque vi è concorso formale tra i reati di lesioni e il reato di maltrattamenti in famiglia.

Si deve invece escludere che il reato di maltrattamenti assorba il reato di lesioni. Infatti la diversa obbiettività giuridica dei due reati (il primo la tutela delle relazioni familiari, il secondo l’integrità fisica) escludono che possa parlarsi di assorbimento (Cass. Pen. Sez. 6 dell’11 maggio 2004 n. 28367).

Si deve anche escludere che per quanto riguarda il delitto di maltrattamenti in famiglia ci si trovi di fronte al reato circostanziato di cui al capoverso dell’art. 572 c.p. perché soltanto se tali eventi siano conseguenza involontaria del fatto costituente tale reato si ha l’ipotesi ivi prevista. Invece quando, come nel caso di specie, l’agente abbia avuto anche l’intenzione di ledere l’integrità fisica della vittima vi è una pluralità di delitti in concorso tra di loro (vedi Cass. Pen. Sez. 1 del 30 aprile 1987 n. 8957).

Il sig. C., per la sostanziale incensuratezza (vi è un precedente per guida in stato di ebbrezza del 12 dicembre 1997) e anche per la dedotta dipendenza da sostanze farmaceutiche, è meritevole, a parere dello scrivente, della concessione delle attenuanti generiche.

Dovendosi applicare la disciplina del concorso formale si deve individuare il reato più grave. Ritiene lo scrivente che il reato più grave debba essere senz’altro ritenuto il reato di maltrattamenti in famiglia che ha avuto una durata di almeno un anno e ciò impone di ritenerlo così grave da farlo preferire, come reato di maggiore gravità alle lesioni pure contestate.

Ai sensi dell’art. 133 c.p., appare dunque congruo irrogare la pena complessiva di anni uno e mesi uno di reclusione (p.b. per il reato di maltrattamenti anni uno e mesi sei di reclusione, diminuita fino ad un anno di reclusione per le attenuanti generiche, aumentate fino alla pena finale per il concorso formale con le lesioni).

Si ritiene che l’interruzione della convivenza con la sig.ra S. importi una prognosi favorevole circa la possibilità del sig. C. di astenersi dalla commissione di ulteriori reati. Dunque potendone ancora godere non avendone mai usufruito, si dispone la sospensione condizionale della pena per la prescritta durata di cinque anni al termine dei quali se non vi sarà ricaduta nel reato i presenti reati saranno estinti.

Alla condanna consegue comunque la condanna al pagamento delle spese di causa sostenute dall’erario.

P. Q. M.

Visti gli artt. rubricati, 62 bis c.p., 81 c.p., 533, 535 c.p.p.;

dichiara C. M. colpevole dei reati a lui ascritti, in relazione alle condotte di aggressione e percosse per quanto riguarda i maltrattamenti, assorbite le percosse nel più grave reato di maltrattamenti e ritenuto sussistente il vincolo della continuazione, riconosciute in suo favore le attenuanti generiche, lo condanna alla pena di anni uno e mesi uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Visto l’art. 163 c.p. dispone la sospensione condizionale della pena.

Visto l’art. 544 comma 3° c.p.p. indica in giorni 45 il termine di deposito delle motivazioni.

Imola, 20 novembre 2007.

                                                                                                                               Il Giudice