Sentenze

Sentenze

Domanda risarcimento danni derivante da infortunio sul lavoro- dichiara responsabili i convenuti-danno biologico permanente e diminuzione capacità lavorativa- inabilità temporanea- danno morale.

29 marzo 2016

Domanda risarcimento danni derivante da infortunio sul lavoro- dichiara responsabili i convenuti-danno biologico permanente e diminuzione capacità lavorativa- inabilità temporanea- danno morale.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Bologna, sezione distaccata di Imola, in persona del dottor Sandro Pecorella ha pronunziato la seguente

SENTENZA       

nella causa iscritta al n. 21288/2001 di R.G. degli affari contenziosi civili, posta in decisione all’udienza del 3 aprile 2006 previa assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e successive memoria di replica, promossa da S. L., rappresentato e difeso, come da mandato a margine dell’atto di citazione, dall’avv. M. T. ed elettivamente domiciliato presso suo studio in I., via C. 33.

Attore

contro 

T. C. rappresentato e difeso per mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta dagli avv. E. C. e U. P. ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in I., via E. 241.

Convenuto

contro

L. **** C. S.p.A. in persona del legale rappresentante ing. B. G., rappresentata e difesa per mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta con richiesta di chiamata di terzo in causa dall’avv. E. C. ed elettivamente domiciliata presso lo studio di questi in I., via G. 40.

Convenuta

con la chiamata in causa di

A. G. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore.

Terza chiamata in causa contumace

avente per oggetto: condanna al risarcimento del danno derivante da infortunio professionale.

Conclusioni per l’attore (come da atto di citazione ad eccezione della posizione di L. già definita – verbale del 3 aprile 2006):

contrariis reiectis,

dichiararsi la responsabilità extracontrattuale solidale per l’infortunio sul lavoro occorso a S. L. di cui è causa, per fatto e colpa concorrente dei convenuti: ditta *** di L. M. A. & C. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore e/o titolare L. M. A., del geometra C. T. e della L. **** C. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, la prima nella sua qualità di ditta appaltatrice e direttore lavori, il secondo quale responsabile e coordinatore della sicurezza, la terza quale coordinatrice del controllo dell’applicazione delle norme di sicurezza e conseguentemente condannare i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento dei danni in favore di S. L., che si indicano in via provvisoria e non tassativa in £. 1.410.119.460 pari ad € 728.265,93 od in quella diversa somma che risulterà di giustizia in corso di causa, per le causali di cui in narrativa, oltre a rivalutazione monetaria dalla liquidazione al saldo, nonché interessi legali al saldo.

Con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa, rifusione 2% CPA ed IVA e rimborso del 10 % ex art. 15 L.P.F.

Conclusioni per T. C. (verbale di udienza del 3 aprile 2006):

in via principale rigettarsi le domane avverse al convenuto geometra T. ed in subordine, in via istruttoria rimettersi la causa in istruttoria al fine di espletare le consulenze tecniche richieste dal convenuto dedotte in memoria ex art. 184 c.p.c. datata 2 ottobre 2003 qui intendendosi integralmente riportata.

Conclusioni per L. 1502 C. S.p.A. (foglio allegato al verbale di udienza del 3 aprile 2006):

Piaccia all’Ill.mo Tribunale di B. sede distaccata di I.,

ogni contraria istanza disattesa:

a)              respingere le domande tutte avanzate da S. L. nei confronti della L. 1502 C. S.p.A. in quanto infondate in fatto e in diritto.

b)             Con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato il sig. S. L. conveniva in giudizio la C.T.L. di L. M. A. & C. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, il geom. C. T. e la L. 1502 C. S.p.A. per sentirli condannare in solido fra loro al risarcimento dei danni morali e materiali subiti in ragione dell’infortunio da lui subito in data 26 luglio 1999 sul tetto di uno dei capannoni della L. C..

Riferiva che operava su quel tetto quale dipendente della C.T.L. di L. M. A. e che in tale veste stava trasportando del materiale che serviva per i lavori di incapsulatura delle lastre onduline in cemento amianto della copertura dal punto dove il materiale era stato accatastato al punto dove i lavori erano in corso in quel momento distante circa cento metri. Il trasporto veniva effettuato sempre procedendo sul tetto, avendo cura di posizionare i piedi lungo i traversi metallici che sostengono le lastre di cemento amianto che non sosterrebbero il peso di un uomo se non in quel punto. Durante il trasporto per recuperare parte del materiale che gli era cascato di mano, mise i piedi in una zona del tetto dove la lastra di cemento amianto non era sostenuto dal traverso metallico. La lastra non lo sostenne e il sig. S. L. cadde dalla cospicua altezza di 8 metri all’interno del capannone dove era in piena attività la produzione della C..

Riferiva della lunga degenza, delle conseguenze permanenti rimaste e delle diminuzioni alla capacità di percepire reddito subite in seguito ai postumi dell’infortunio e chiedeva il corrispondente risarcimento del danno come sopra quantificato dettagliando nel corpo dell’atto le singole componenti della somma. Riferiva che la C.T.L., il geom. T. e la L. C. dovevano rispondere in solido del danno da lui subito in quanto la C.T.L. di L. era il datore di lavoro che non aveva predisposto le idonee misure di sicurezza previste nel contratto di appalto e necessarie anche per svolgere il lavoro di trasporto del materiale nel corso del quale l’infortunio è avvenuto, il geom. T. quale responsabile e coordinatore della sicurezza nominato dalla L. C. ed accettato dalla C.T.L. di L. che non aveva vigilato sulla corretta adozione delle misure previste dal piano di sicurezza da lui predisposto mentre la L. C. doveva rispondere quale coordinatrice del controllo di applicazione delle norme di sicurezza necessarie per prevenire l’infortunio.

Si costituiva tempestivamente la C.T.L. di L. M. che chiedeva il rigetto delle domande attrici evidenziando da un lato che non poteva accampare alcuna pretesa circa il mancato rispetto del contratto di appalto atteso che il sig. S. L. non era parte del contratto. Evidenziava comunque che l’attore agiva solo in base alla responsabilità extracontrattuale e nel merito evidenziava come la colpa dell’accaduto fosse esclusiva del dipendente che non aveva fatto uso dei mezzi di sicurezza posti a sua disposizione.

Si costituiva intempestivamente il 1 marzo 2002 (l’udienza era originariamente fissata per quel giorno) il geom. C. T. che evidenziava come esclusivo responsabile dell’accaduto fosse la C.T.L. di L. che non aveva neppure indicato al T. quale sarebbe stato il punto di deposito dei materiali al fine di prevedere anche per questo le necessarie misure di sicurezza. Evidenziava che il piano di sicurezza era stato ben redatto e che in relazione a ciò l’infortunio non era stato causato per carenze dello stesso, ma per il mancato rispetto di quello avendo operato in un area dove il piano di sicurezza non era stato predisposto perché in quell’area non si doveva operare. Evidenziava pertanto la carenza del nesso di causalità tra il comportamento proprio e l’infortunio occorso al sig. S. L..

Si costituiva tempestivamente la L. **** C. S.p.A. che ha chiesto il rigetto delle domande attrici. Infatti evidenziava come nel contratto di appalto la C.T.L. assumesse in proprio l’obbligo di osservare e fare osservare ai proprio operai il rispetto delle norme di sicurezza. Riferiva che nel piano di sicurezza predisposto in adempimento degli impegni contrattuali erano stati individuati tutti i luoghi dove dovevano svolgersi le opera appaltare e le singole attività. Riferiva che aveva individuato come responsabile della sicurezza il geom. C. T. e che con gli adempimenti sopra descritti aveva esaurito gli obblighi a lei derivanti dalla L. 626/94. Dunque l’incidente era avvenuto per il mancato rispetto del piano di sicurezza da parte della C.T.L. di L. e chiedeva pertanto il rigetto della domanda attrice. In ogni caso evidenziava che per vicende del genere la L. aveva in corso un contratto di A. che le A. G. e chiedeva lo spostamento dell’udienza per potere svolgere la chiamata in causa assegnando i corretti termini per comparire.

Il Giudice disponeva il richiesto spostamento dell’udienza e all’udienza del 3 maggio 2002, constatata la corretta citazione in giudizio delle A. G. S.p.A., verificata che questa non si era costituita, se ne dichiarava la contumacia.

All’udienza stessa la Difesa del sig. S. L. e quella della C.T.L. di L. annunciavano di avere raggiunto un accordo transattivo e spiegavano che all’udienza successiva il sig. S. L. avrebbe rinunciato agli atti nei confronti della C.T.L. di L.. All’udienza del 14 novembre 2002 questo accadeva, la C.T.L. di L. accettava la rinuncia e il giudice, ai sensi dell’art. 306 c.p.c., dichiarava l’estinzione del processo tra di loro con spese compensate. Il sig. S. L. si riservava ex art. 1311 c.c. la solidarietà degli altri convenuti.

Nel corso del processo venivano assunte le prove già assunte nel corso del parallelo giudizio penale che si è svolto nei confronti del geom. T., avendo invece il sig. L. optato per l’applicazione di pena su sua istanza, accordandosi in tal senso con il P.M.

Sono state anche acquisite prove documentali (essenzialmente i contratti in base ai quali è stata eseguita l’opera che ha portato all’infortunio e il piano di sicurezza oltre che la documentazione medica) e prove testimoniali. Il sig. S. L. ha reso interrogatorio formale.

Nel corso del processo è stata svolta C.T.U. medico legale sulle conseguenze dell’infortunio occorso al sig. S. L..

Questi ha svolto istanza cautelare in corso di causa per sequestro conservativo sui beni del geom. T. che è stata rigettata per carenza del periculum in mora con ordinanza dell’8 febbraio 2006.

All’udienza del 3 aprile 2006 sono state fatte precisare le conclusioni come in epigrafe riportate.

La causa è stata quindi trattenuta in decisione previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali ed eventuali repliche.

Tutte e due le parti depositavano comparse conclusionali, mentre i  convenuti depositavano anche memoria di replica.

Motivi della decisione

Preliminarmente si deve esaminare che conseguenze processuali ha l’avvenuta rinuncia agli atti, che è stata accettata, tra il sig. S. L. e la C.T.L. di L. M. A. S.n.c. Infatti benché trattasi di argomento non trattato nel corso degli scritti conclusivi delle parti, alle udienze in cui la transazione e la rinuncia agli atti è stata dichiarata ed effettuata, vennero sollevate opposizioni soprattutto da parte della Difesa del geom. T.. Si ritiene pertanto, in mancanza di espresse rinunce alla questione sollevata in proposito (implicitamente rigettata per il fatto che giudice ha accolto la rinuncia dichiarando estinto il processo), sia opportuno trattare il problema.

In proposito si osserva che l’obbligazione risarcitoria derivante da fatto unico dannoso, imputabile a più persone è solidale, non cumulativa, e, perciò, non dà luogo a litisconsorzio necessario passivo e non impone di conseguenza il “simultaneus processus”, incontrando tale regola una deroga, in via eccezionale, soltanto nel caso in cui la responsabilità, in capo ad uno dei danneggiati, sia in rapporto di dipendenza con la responsabilità di altri danneggianti, ovvero quando le distinte posizioni dei coobbligati presentino obbiettiva interrelazione, alla stregua della loro stretta subordinazione, anche sul piano del diritto sostanziale, sicché la responsabilità dell’uno presupponga la responsabilità dell’altro, nonché nell’ipotesi in cui sia la legge stessa (come ad esempio secondo la previsione a suo tempo contenuta nell’art. 23 della legge 24 dicembre 1969 n. 990 ed ora trasfusa nel T.U. in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), che presupponendo, appunto, e derogando a detto principio imponga esplicitamente, sempre in via eccezionale, il litisconsorzio necessario tra coobbligati solidali (cfr. Cass. civ. sez. L. del 12 maggio 2006 n. 11039). Nel caso concreto una legge del genere manca, mentre i comportamenti dei tre soggetti coinvolti non sono evidentemente subordinati essendo loro imputati comportamenti autonomi.

Ne consegue che effettivamente era possibile la rinuncia agli atti con estinzione del processo rispetto solo ad alcune delle parti.

Per converso l’avvenuta transazione intervenuta tra la C.T.L. di L. e il sig. S. L. non ha influenza sulle pretese che il sig. T. e la L. C. potrebbero avere, in riferimento all’infortunio per cui è processo nei confronti della C.T.L. di L. nei confronti della quale, comunque, né T., né L. C., svolgono in questa sede domande riconvenzionali.

In ogni caso la rinuncia agli atti operata dal sig. S. L. nei confronti della C.T.L. di L. ha come conseguenza rinuncia alla solidarietà nei suoi confronti per avere ottenuto in via transattiva un risarcimento parziale del danno da parte sua. Ne consegue che il sig. S. L. non può ottenere da parte del sig. T. e della L. che un risarcimento corrispondente alla misura ridotta della percentuale corrispondente alla quota transatta (cfr. Cass. civ. sez. L del 17 maggio 2002 n. 7212). Ne consegue che l’eventuale condanna in cui potrebbero incorrere alcune delle parti rimaste deve essere limitata a quanto eccede nei confronti di quanto già corrisposto da C.T.L. di L..

Un altro problema sul quale è opportuno svolgere un accenno è quello del rito con il quale questa causa è state decisa. Ritiene infatti lo scrivente che proporre il presente processo nella forma originaria con la presenza anche della C.T.L. di L. con la formula del rito ordinario e non con il rito del lavoro davanti al Giudice del Lavoro abbia costituito un errore. Infatti è stato scelto questo rito sul presupposto che veniva invocata solo una responsabilità extracontrattuale. Tuttavia rileva il giudice che il problema della qualificazione dell’azione come contrattuale o come extracontrattuale sia sottratta a quanto nominalmente riferito dalle parti, ma si tratta di operazione riservata al giudice sulla base degli elementi di fatto che vengono dedotti in giudizio (vedi Cass. civ. sez. 1 del 20 marzo 1999 n. 2574). Premesso ciò e premesso anche che nel caso in cui vi è infortunio sul lavoro l’aspetto della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale concorrono (vedi ad esempio Cass. civ. sez. L. del 20 gennaio 2000 n. 602), l’attore nel suo atto introduttivo evidenzia in modo diffuso la mancanza di idonee misure di sicurezza e pone tale carenza in nesso causale con il danno a lui occorso. La mancanza di misure di sicurezza configura violazione degli obblighi di cui all’art. 2087 c.c. che è un ipotesi di responsabilità contrattuale che, dato che discende dalla sussistenza di un contratto di lavoro subordinato, per effetto dell’art. 409 n. 1 c.p.c. è soggetta al rito del lavoro davanti al Giudice del Lavoro. Il fatto che erano presenti altre domande basate su titoli diversi da quelli derivanti da rapporto di lavoro subordinato non impediva la proposizione di tutte le cause davanti al Giudice del Lavoro con il corrispondente rito per la presenza nell’ordinamento dell’art. 40 comma 3° c.p.c. che avrebbe imposto l’applicazione a tutte le cause connesse il rito del lavoro.

Tuttavia nel caso concreto il fatto che avrebbe imposto il rito del lavoro e cioè il dedotto rapporto contrattuale di lavoro subordinato con la C.T.L. di L. è venuto meno essendo certo che l’eventuale responsabilità degli altri convenuti dipende da altro titolo, extracontrattuale, che non rientra comunque in quelli indicati nell’art. 409 c.p.c. Ne consegue che è venuta meno ogni ragione di connessione con una causa che avrebbe richiesto ed imposto alle altre il rito del lavoro. Ritiene pertanto lo scrivente che allo stato il rito ordinario sia quello con il quale debba essere svolto il processo e non debba essere svolto il mutamento di rito di cui all’art. 426 c.p.c.

In ogni caso si osserva che, nel caso si ritenesse che la connessione originariamente esistente con una domanda che richiedeva il rito del lavoro ne imponga l’adozione anche dopo che la connessione sia venuta meno, la mancata adozione del rito del lavoro non comporta in ogni caso alcuna nullità, ma, semplicemente, la necessità di adottare l’ordinanza di cui all’art. 426 c.p.c. anche nella successiva, eventuale, fase di appello senza che ciò comporti regressione alcuna del procedimento.

Ciò premesso si può passare all’esame del merito.

Per questo è opportuno premettere che l’accertamento che vi è stato in sede penale è opponibile in questa sede. Infatti ai sensi dell’art. 651 c.p.p. la sentenza penale irrevocabile pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale. Come ben si vede, nel caso di sentenza di condanna, contrariamente agli effetti previsti dall’art. 652 c.p.p. per la sentenza di assoluzione, questi effetti della sentenza di condanna penale prescindono da una costituzione di Parte Civile che ha solo l’effetto di rendere possibile una condanna civile in sede penale.

Nel caso presente vi è appunto per quello che riguarda il geom. T. sentenza irrevocabile di condanna in sede penale che è la sentenza della Corte d’Appello do B. del 5 aprile 2005 irrevocabile il 9 luglio 2005 di cui è stata ammessa la produzione in giudizio dopo la scadenza dei termini di cui all’art. 184 c.p.c. perché si è trattato di documento che si è formato successivamente alla scadenza di questi termini.

Già solo per questo motivo si deve procedere a dichiarare responsabile il geom. T. e si devono disattendere le istanze istruttorie svolte subordinatamente dal convenuto T. dirette a dimostrare un’impossibilità da parte sua di rendersi conto della mancata applicazione da parte della C.T.L. di L. delle disposizioni del piano di sicurezza.

In ogni caso si osserva che l’istruttoria svolta nel corso del procedimento civile sono stati assolutamente ripetitive dell’istruttoria svolta nel corso del giudizio penale (vedi le testimonianze assunte) e pertanto tutte le considerazioni svolte da parte del giudice penale sono riproducibili in questa sede e devono intendersi qui ripetute. In particolare sono condivisibili le affermazioni dei due giudici penali (che sul punto si integrano e concorrono a formare una stringente e convincente motivazione) in punto di esistenza di un obbligo da parte del coordinatore della sicurezza, nella fattispecie il geom. T., di opportune attività di verifica e controllo da adottare con sua autonoma iniziativa senza che la stessa debba essere in alcun modo sollecitata circa il concreto rispetto del piano di sicurezza e la necessità di suo adeguamento. In particolare il Tribunale, giudice di primo grado penale sul punto confermato e citato testualmente dalla Corte D’Appello nella sua sentenza, ha evidenziato come vi fosse un obbligo del  geom. T. di salire sul tetto per rendersi conto di quello che accadeva e dunque ogni mezzo di prova diretto a dimostrare che da terra non ci si poteva accorgere della violazione del piano di sicurezza è ultronea e deve essere rigettata.

L’effettuata istruttoria in sede civile, che ha dato risultati identici a quelli dell’istruttoria in sede penale, permette di estendere quelle risultanze anche alla L. **** C. S.p.A. alla quale la sentenza penale non è invece opponibile non essendone stata parte.

Ne consegue che certamente, come si vedrà, a carico della L. sono imputabili le negligenze del geom. T. nominato proprio dalla L. responsabile della sicurezza.

Ciò determina la responsabilità della L. per l’infortunio occorso al sig. S. L.. Infatti è vero che l’attuale formulazione dell’art. 6 D.Lv. 494/1996 ha ridotto la responsabilità della committente (posizione nella quale è classificabile la posizione della L.) per i casi in cui viene nominato un responsabile dei lavori, ma è anche vero che all’epoca dell’incidente la norma era più gravosa di quella attuale introdotta dall’art. 6 del D.Lv. 19 novembre 1999 n. 528 e cioè in data successiva all’incidente.

Infatti prevedeva che “la designazione del responsabile dei lavori non esonera il committente dalle responsabilità connesse all’adempimento degli obblighi di cui all’art. 3”. E ancora al comma 2° prevedeva che “la designazione di coordinatori per la progettazione e di coordinatori per l’esecuzione dei lavori non esonera il committente e il responsabile dei lavori delle responsabilità connesse alla verifica degli adempimenti di cui agli articoli 4 e 5”. E l’art. 5 prevedeva appunto al comma 1° lett. a) proprio quell’azione di “assicurare , tramite opportune azioni di coordinamento, l’applicazione delle disposizioni contenute nei punti di cui agli artt. 12 e 13 e delle relative procedure di lavoro”. Gli artt 12 e 13 riguarda appunto i piani di sicurezza della quale il committente rimaneva comunque responsabile del suo rispetto dovendo svolgere comunque l’attività indicata nell’art. 5 comma 1° lett. a) e che la cui mancata effettuazione da parte del suo responsabile della sicurezza ha determinato il fatto.

Si osserva che in base all’art. 11 comma 1° disposizioni sulla legge in generale (preleggi) non vi è dubbio che il testo da applicare all’incidente per cui è processo è quello. Ma anche nel caso che ciò non fosse vero non si teme che le conseguenze dell’applicazione delle norme sopravvenute comportino conseguenze diverse a carico della L.. Infatti il nuovo testo dell’art. 6 comma 2° D.Lv. 494/96 non esonera in ogni caso il committente dalla responsabilità derivante dal mancato rispetto dell’attività di cui all’art. 5 comma 1 lett. a) che nella sua nuova formulazione prevede appunto la necessità per il coordinatore di “verificare, con le opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 12 e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro”. L’attività omessa dal geom. T. riguarda proprio un attività di questo tipo per il quale la L. risponde.

Si rileva che tale tipo di responsabilità della L. corrisponde chiaramente a quella prevista dall’art. 2049 c.c. dei padroni e committenti e dunque si tratta di responsabilità extracontrattuale. Infatti perché sussista questo tipo di responsabilità la giurisprudenza più recente è sempre più decisamente schierata nel senso che non si incorre in questo tipo di responsabilità solo quanto si è di fronte ad un rapporto di lavoro subordinato tra il padrone o committente e il suo dipendente che è dunque un termine da intendere in senso lato, essendo sufficiente che le persone responsabili dell’illecito siano inserite temporaneamente od occasionalmente nell’organizzazione aziendale (vedi Cass. civ. sez. 3 del 9 novembre 2005 n. 21685 rispetto al danno causato da un volontario al soccorso su una pista da sci).

Ritiene lo scrivente che il rapporto che lega geom. T. e la L. ne configuri quell’occasionale e temporaneo inserimento nell’organizzazione aziendale che da luogo alla responsabilità ex art. 2049 c.c.

Da questo punto di vista si rileva pertanto che la primitiva formulazione della norma era anche più aderente all’art. 2049 c.c. delle quali l’attuale formulazione dell’art. 6 D.Lv. 494/96 costituisce una limitazione che però non si estenderebbe in ogni caso ad evitare una responsabilità per i fatti di cui all’art. 5 comma 1 lett. a) attuale formulazione che sono proprio quelli imputati al geom. T..

Ne consegue che anche la L. **** C. S.p.A. deve essere dichiarata responsabile dell’infortunio occorso al sig. S. L. e conseguentemente deve essere chiamata, in solido con il geom. T. a risarcire il danno da questo causato, nei limiti del residuo di quello che è già stato riconosciuto in via transattiva dalla C.T.L. di L. e salvo ogni pretesa che potrebbe avanzare nei confronti di questa.

A questo punto si deve osservare che la L. **** C. S.p.A. non ha proceduto in questa sede a riportare quanto richiesto in comparsa di costituzione e risposta con  richiesta di chiamata in causa di terzo e cioè che le A. G., rimaste contumaci fossero chiamate a mallevare la L. dall’eventuale responsabilità. Si rileva che la precisazione delle conclusioni è il momento in cui quello che viene chiesto è definitivamente delimitato ed è il termine che deve essere tenuto presente dal giudice per rispondere solo sulle domande che in concreto le parti gli rivolgono in adesione al principio della domanda di cui all’art. 112 c.p.c.

Pertanto, rilevato che non si tratta di una svista, atteso che neppure negli scritti conclusionali il problema viene ribadito, non ci si pronuncia sulla domanda originariamente svolta nei confronti delle G..

Passando alla valutazione della eventuale corresponsabilità del sig. S. L. si deve dire che non se ne riscontra. Egli ha adempiuto alle richieste del datore di lavoro come pure il sig. B. sentito come teste che infatti dopo l’incidente del sig. S. L. ha deciso di cambiare lavoro. Non vi erano a disposizione mezzi antinfortunistici che avrebbero evitato o limitato i danni rispetto al posto dove è avvenuto l’incidente e dove il sig. S. L. si era recato su ordine del datore di lavoro e rispetto al quale T. e L. non avevano provveduto a verificare che il piano di lavoro fosse rispettato anche per l’effettuazione dei lavori solo nelle zone descritte dal piano di sicurezza oppure alla modifica dello stesso in modo che comprendesse anche le nuove zone di lavoro.

Gli eventuali diversi gradi di responsabilità tra i diversi responsabili (T., L. e C.T.L. di L.) non rilevano in questa sede e potranno essere rilevanti solo in sede di ripartizione interna della responsabilità.

Per quanto riguarda la tipologia di danni risarcibile si deve riferire che l’infortunio è un infortunio sul lavoro che come tale già usufruisce delle prestazioni dell’INAIL. In particolare, siccome l’infortunio è accaduto nel 1999 esso è soggetto alla previgente disciplina dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni da lavoro e le malattie professionali, che non comprendeva il danno biologico se non nella misura in cui lo stesso pregiudicava le prestazioni lavorative. Ne consegue che residua da liquidare in questa sede solo il danno biologico e il danno morale, oltre ad eventuali spese mediche non comprese nell’ambito delle prestazioni dell’INAIL.

Premesso questo, nel corso del processo è stata svolta C.T.U. medico legale per quantificare i danni subiti dal sig. S. L..

Il dott. M. V. C.T.U. nominato con valutazione che viene fatta propria dallo scrivente essendo del tutto condivisibile e non contestata da nessuna delle parti processuali ha stabilito che in seguito all’infortunio al sig. S. L. è stato diagnosticato un complesso politrauma: trauma chiuso dell’addome con emoperitoneo da rottura di milza, contusione del duodeno, lacerazione epatica, emitorace sinistro, fratture multiple del bacino, frattura estremo distale clavicola sinistra, omero, gomito polso sinistro, fratture costali a sinistra (7°, 8°, 9°), frattura apofisi traverse da L1 a L4. Questo era solo la prima diagnosi svolta al Pronto soccorso dell’Ospedale Maggiore di B.. In seguito le fratture al bacino venivano meglio caratterizzate come sede in ileo pubica sinistra e (dubbia) acetabolare destra, segnalandosi anche diastasi pubica. Le lesioni ossee dell’arto superiore vengono meglio descritte come frattura a più frammenti dell’olecrano, dell’epifisi radiale, della stiloide ulnare, del semilunare e piriforme. La TAC cranica evidenziava frattura della squama occipitale di sinistra. Inoltre una TAC  toracica permetteva di apprezzare vistosa contusione polmonare con versamento più marcato a sinistra, pneumotorace bilaterale con enfisema sottocutaneo posteriore irradiato al collo e fratture costali distiasate posteriori. La TAC del bacino rilevava anche diastasi delle sincondrosi sacro – iliache sinistra, confermandosi frattura della branca ischio pubica omolaterale. L’ecografia dell’addome confermava la presenza di abbondante versamento endoperitoneale in sede perisplenica superiore. Gli interventi chirurgici si susseguivano prima per ovviare alle emorragie in corso e poi per correggere le fratture ossee. Ne corso della lunga degenza il sig. S. L. è stato ricoverato prima nel reparto rianimazione dal quale era stato trasferito in quello di chirurgia e infine al reparto post acuti  di riabilitazione estensiva dove in data 3 novembre 1999 EMG all’arto superiore evidenziava rilievi di sofferenza neurogena cronica nei muscoli esplorati dell’avambraccio e della mano sinistra, più marcata nel muscolo estensore ulnare del capo, presenza di modestissima denervazione acuta dei muscoli estensore radiale e ulnare del carpo, flessore radiale e ulnare del carpo, flessore radiale del carpo e 1° interosseo dorsale.

Il 17 novembre 1999 veniva dimesso consigliandosi visita ortopedica di controllo dopo venti giorni e prosecuzione del trattamento riabilitativo. La diagnosi finale di dimissione era di “trauma toraco addominale con emitorace sinistro e contusione polmonare sinistra per fratture costali multiple, rottura di milza, lacerazione epatica del mesosigma, frattura del bacino, olecrano e clavicola a sinistra. Splenectomia, sutura di lacerazione epatica e mesosigma. All’esame istopatologico: infarcimento emorragico con lacerazione multiple della milza. Fissazione con viti della cresta iliaca. Osteosintesi metacarpo – radiale.

In conseguenza di tutto ciò e delle successive attività terapeutiche il C.T.U. ha individuato la durata del periodo di inabilità temporanea fino all’8 febbraio 2000, data del giudizio di stabilizzazione ortopedica e dunque ha quantificato in giorni 180 la durata dell’inabilità temporanea assoluta e giorni 77 per un’inabilità temporanea del 66 %.

Per quanto riguarda i residui permanenti il C.T.U. ha rilevato estesi esiti cicatriziali al tronco esito di drenaggi toracici, di intervento laparatomico di splenectomia, sutura di lesioni epatiche e al mesosigma e in particolare una cicatrice di circa 23,5 cm xifo pubica ben continente e  una di fissazione esterna open book del bacino, ulteriore esito cicatriziale chirurgico al gomito avambraccio sinistro lunga 13 centimetri in esiti di intervento di riduzione e sintesi con MDS metallici di frattura olecranica pluriframmentaria.

Soprattutto rilevava apprezzabile vistoso quadro limitativo al gomito (mobile in flesso estensione fra 150 e 55°) e al polso sinistro (flessione dorsale – ½, flessione palmare e laterilizzazione dolenti a g.e.; prono supinazione – ¼ ), associandosi quadro ipostenico apprezzabile nella presa del pugno e nella pinza anatomica, valida, ma facilmente esauribile.

Inoltre è detta sensibile la cranio percussione in sede parieto occipitale sinistra; si apprezza residua toracalgia sinistra in sede del tutto posteriore e antalgismo nella flessione e rotodeclinazione del busto sul bacino dell’ultimo quinto di range funzionale.

Ne deriva un giudizio di danno biologico permanente nella misura del 50 % con diminuzione della riduzione della capacità lavorativa specifica in relazione alle mansioni di operaio nella misura del 25 %.

Quanto alla quantificazione economica di questi danni e del danno morale conseguente, come è noto, con una serie di sentenze emesse nell’arco del 2003, la Corte di Cassazione ha rivoluzionato la sistemazione delle varie voci di danno risarcibili in caso di fatto illecito, con riferimento al danno biologico e al danno morale. Importanti sono le sentenze 7281/2003, 7282/2003 e 7283/2003 tutte depositate il 12 maggio 2003 con le quali è stato stabilita la possibilità di liquidare il danno non patrimoniale quando non fosse positivamente accertato un reato cosa che accadeva in modo particolare quando si ricorreva per il riconoscimento dell’illiceità del danno alle forme di responsabilità presuntiva come quelle di cui agli artt. 2050 e ss. c.c. Tale sentenze hanno permesso il mutamento di giurisprudenza successivo effettuato con sentenze 8827 e 8828 del 31 maggio 2003 che hanno ricondotto le tipologie di danno risarcibile a due: il danno patrimoniale e il danno non patrimoniale, eliminando le ipotesi di tertium genus che si erano andate moltiplicando dopo che in precedenza, come tale era stato riconosciuto il danno biologico (Cass. 184/86) la cui risarcibilità veniva fatta scendere direttamente dall’art. 2043 c.c. considerato come norma in bianco. Scrive ora la Corte, nella sentenza 8827/2003, che “l’art. 2059 c.c. nella parte in cui limita la risarcibilità del danno non patrimoniale ai soli casi previsti dalla legge, va interpretato in senso conforme alla Costituzione; ne consegue che, là dove l’atto illecito leda un interesse della persona di rango costituzionale, il risarcimento del danno da lesione di interessi non patrimoniale spetta in ogni caso, anche al di fuori dei limiti imposti dall’art. 2059 c.c. La liquidazione dei danni non patrimoniali (nei quali rientrano il danno biologico, il danno morale, il danno da lesione di interessi non patrimoniali costituzionalmente protetti), la quale può avvenire anche in modo unitario e complessivo, deve tuttavia evitare duplicazioni risarcitorie, e quindi va compiuta opportunamente riducendo l’importo del danno morale, quando della sofferenza psichica causata dall’illecito si sia debitamente tenuto conto nel liquidare il danno biologico o altri danni non patrimoniali.

Conseguentemente si può continuare a mantenere la distinzione tra danno biologico e danno morale pur tenendo conto che fanno parte di un unico danno non patrimoniale che può essere pure liquidato complessivamente e nell’ambito del quale la valutazione dell’uno influisce indubbiamente in quella dell’altro.

 Ciò premesso, per la liquidazione dei danni si fa riferimento alle tabelle del Tribunale di B. pubblicate dal Guida al Diritto dossier mensile n. 6 del 2005 pag. 81 e ss.

Per un soggetto di anni 27 al momento dell’infortunio, il danno biologico permanente nella misura del 50% comporta un valore del punto di € 245,45. Il coefficiente relativo all’età di una persona di 27 anni è di 18,439. L’ammontare di questo danno biologico ammonta a € 226.292,62. Quanto al danno biologico temporaneo si devono liquidare € 42,08 per ogni giorno d’inabilità totale, € 27,77 per ogni giorno d’invalidità al 66 %. Il danno biologico da invalidità temporanea ammonta pertanto ad € 9407.22. Il danno morale deve essere riconosciuto nella misura della metà del danno biologico complessivo per la gravità del fatto. Infatti le fotografie in atti evidenziano dall’interno come i traversi sui quali dovevano camminare gli operai fossero stretti e ciò dimostra come la violazione delle misure di sicurezza fosse macroscopica ai limiti della colpa con previsione dell’evento. La particolare gravità di questo fatto rende giustificabile la liquidazione nella misura massima prevista dalle tabelle utilizzate. Il danno morale viene pertanto liquidato nella misura di € 117.849,92.

In totale la somma dovuta per risarcimento del danno ammonta ad €. 353.549,76.

Naturalmente da queste somme vanno detratte le somme già pagate dalla C.T.L. di L. e il geom. T. e la L. **** C. S.p.A. devono essere condannati a pagare solo il residuo.

Si rileva che l’attore non ha prodotto la transazione intervenuta fra lui e la C.T.L. di L., ma viene indicata dalla Difesa della L. che la somma pagata dalla C.T.L. ammonta ad € 206.859,10.

Se questa fosse la somma pagata la somma residua ammonterebbe a € 146.690,66.

Tuttavia non si può dire che questa è la somma pagata dalla C.T.L. proprio per la mancanza della transazione. Si dispone pertanto che la somma che i residui obbligati in solido devono pagare ammonta alla differenza tra quello che è stato pagato da C.T.L. di L. e la somma oggi liquidata.

Tutte le somme dette sono determinate al valore attuale della moneta.

Dunque, per il danno non patrimoniale, per il calcolo degli interessi dovuti per il danno da ritardo (nella misura legale pro tempore vigente) occorre applicare il criterio di cui alla nota sentenza Cass. civ. S.U. 17 febbraio 1995 n. 1712, secondo il quale gli interessi sui debiti di valore vanno calcolati sulla somma corrispondente al valore della somma al momento dell’illecito, via via rivalutata anno per anno sulla base degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. In applicazione di tale criterio al fine del calcolo degli interessi la somma come sopra determinata deve essere previamente devalutata in base ai detti indici e sulla stessa, progressivamente rivalutata di anno in anno devono calcolarsi gli interessi al tasso legale. Ciò fino alla data della sentenza.

Da quel momento in poi fino al saldo effettivo sono dovute su tutte le somme, danno liquidato e somma ottenuta dal calcolo degli interessi, gli interessi legali fino al saldo effettivo.

I convenuti devono essere condannati a pagare, in solido fra loro le spese di causa sostenute dal sig. S. L.. Queste sono liquidate in dispositivo e sono comprensive anche di € 1.188,94 spese dall’attore per la C.T.U. essendo stato a lui addebitata l’anticipazione delle spese.

P.Q.M.

Il Tribunale di Bologna, sezione distaccata di Imola, in persona del dott. Sandro Pecorella, definitivamente pronunciando nella causa (n.r. 21288/2001) tra

S. L. (avv. M. T.)

contro

T. C. (avv. E. C. e U. P.)

contro

L. 1502 C. S.p.A. (avv. E. C.)

con la chiamata in causa di

A. G. S.p.A. (contumace)

avente per oggetto: condanna al risarcimento del danno derivante da infortunio del lavoro

ogni diversa istanza disattesa e respinta

dichiara che per l’infortunio occorso a S. L. in data 26 luglio 1999 sono responsabili T. C. e L. **** C. S.p.A.;

dichiara che tale infortunio ha provocato a S. L. un danno biologico permanente nella misura del 50%, una diminuzione della capacità lavorativa specifica del 25 %, 180 giorni di invalidità temporanea totale e 77 giorni d’invalidità temporanea al 66 %;

accerta che in seguito a tali danni il danno non patrimoniale subito da S. L. ammonta ad € 353.549,76 comprensivi di danno biologico permanente, danno da inabilità temporanea e danno morale;

rigetta le ulteriori istanze di risarcimento del danno patrimoniale perché già compreso nell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro liquidata dall’INAIL;

condanna per l’effetto T. C. e L. **** C. S.p.A. a pagare, in solido fra loro la differenza tra la somma sopra liquidata e la somma pagata in via transattiva da C.T.L. di L. M. A. & C. S.n.c.;

condanna T. C. e L. **** C. S.p.A. in solido fra loro a pagare sulla somma che resta ancora da pagare in seguito alla transazione con C.T.L. di L. M. A. & C. S.n.c. gli interessi legali, calcolati sul valore che sarebbe stato liquidato il 26 luglio 1999, data dell’infortunio, (valore da calcolare devalutando le somme sopra dette dalla data odierna fino al giorno della data dell’infortunio secondo l’indice ISTAT), rivalutata di anno in anno dalla data medesima fino alla data della presente ordinanza, oltre gli ulteriori interessi legali su tutte le somme dalla data della presente sentenza fino al pagamento effettivo;

condanna T. C. e L. **** C. S.p.A., in solido fra loro, a pagare in favore di S. L. le spese di causa che liquida in complessivi € 40.602,37 di cui € 1.602,37 di spese, comprensive delle spese di C.T.U., € 13.000,00 per competenze ed € 26.000,00 per onorari, oltre 12,5 % per spese G. e oltre IVA e CPA come per legge.

Imola, 6 settembre 2006.

Il giudice