Sentenze

Sentenze

Azione di risarcimento del danno e domanda riconvenzionale di rivalsa-incidente stradale con decesso- assicurazione e congiunti-danno morale-invalidità temporanea- danno emergente spese funerarie.

29 marzo 2016

Azione di risarcimento del danno e domanda riconvenzionale di rivalsa-incidente stradale con decesso- assicurazione e congiunti-danno morale-invalidità temporanea- danno emergente spese funerarie.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Bologna, sezione distaccata di Imola, in persona del dottor Sandro Pecorella ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 20366/2002 di R.G. degli affari contenziosi civili, posta in decisione all’udienza del 5 dicembre 2005 in seguito alla precisazione delle conclusione e alla concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, promossa da M. M., L. N., M. J., M. B., T. E., L. M. G.,  rappresentati e difesi per mandato a margine dell’atto di citazione dall’avv. F. P. del foro di R. e dall’avv. F. M. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in I., via S. P. G. 38.

Attori

controC. M.Convenuto

controD. U.

Convenuto contumace

controS. C. di A. C.. a.r.l.Convenuta

avente per oggetto: azione di risarcimento del danno e azione di rivalsa ex art. 18 L. 990/69.Conclusioni per l’attrice

Voglia il Tribunale Ill.mo così statuire:

(atto di citazione):in persona del Direttore Generale dott. E. R., rappresentata e difesa dall’avv. G. C., giusta procura generale alle liti di cui all’atto pubblico del dott. V. Q., notaio in Verona, del 28 a. 1995 Rep. *****, Racc. 12629 ed elettivamente domiciliato in B., via G. 19 nello studio del Difensore.rappresentato e difeso come da mandato in calce all’atto di citazione notificato dall’avv. P.L. B. del foro di R. elettivamente domiciliato in I. in via C. 78 presso lo studio dell’avv. M. T..

 

Ritenere e dichiarare la responsabilità esclusiva di D. U. nel determinismo dell’evento di cui in narrativa per fatto e colpa a lui interamente imputabili.

 

 

Condannare, conseguentemente, in solido tra loro D. U., C. M. e la C. A., in persona del legale rappresentante pro tempore, quale S. che assicura per la R.C.A. il motociclo tg. AD *****, al risarcimento di tutti i danni risentiti dagli attori nel sinistro per cui è causa, quantificati in € 620.657,88 a cui va detratto l’acconto di € 108.460,00, sia pur rimettendosi a quella diversa definizione risarcitoria che equa e giusta andrà per risultare ad istruttoria conclusa. Con gli interessi compensativi come per legge e la rivalutazione monetaria e comunque entro i limiti dello scaglione. Con vittoria di spese, funzioni ed onorario di causa.

 

Conclusioni per C. M.

(foglio allegato al verbale di udienza del 5 dicembre 2005):

Piaccia all’Ecc.mo Tribunale adito rigettare la domanda rivolta contro il sig. C. M. in quanto il responsabile dell’incidente gli ha sottratto il veicolo contro la sua volontà. Nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda nei suoi confronti piaccia comunque all’Ecc.mo Tribunale adito dichiarare la Compagnia di A. tenuta a manlevare il convenuto C. M. da ogni domanda ex adverso proposta. Spese rifuse.Conclusioni per la C. A.

(comparsa di costituzione e risposta):

Piaccia all’Ill.mo Tribunale adito:

nel merito, dato atto della somma d € 108.460,00 corrisposta dalla C. A. Coop. a.r.l. a parte attrice, ritenere la stessa congrua e satisfattiva di ogni pretesa e rigettare nel resto tutte le domande attoree, condannando C. M. e D. U. ex art. 18 L. 990/69, oltre rivalutazione ed interessi sino al saldo;

in subordine, dichiarare tenuti e condannare C. M. e D. U., ex art. 18 L. 990/69, a rimborsare alla S. C. A. Coop. a.r.l., la somma di € 108.460,00, nonché tutte le somme che in denegata ipotesi quest’ultima dovesse essere condannata a corrispondere a parte attrice in dipendenza del sinistro de quo, oltre rivalutazione ed interessi sino al saldo.

Con vittoria di spese.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 21 settembre 2002 ai sigg.ri D. U. e C. M. e il 23 settembre 2002 alla C. A., gli attori sopra indicati, nella qualità indicata di eredi di M. E., in quanto genitori (M. M. e L. N.), sorella (M. J.) e nonni (M. B., T. E. e L. M. G.) del defunto, chiedevano ai sopra indicati convenuti il risarcimento del danno subiti a causa del comportamento di D. U. che alla guida del motociclo Yamaha 600 tg. AD ***** di proprietà del sig. C., ha causato un incidente per il quale il sig. M. E. è deceduto. In particolare il sig. D. avrebbe colliso con il sig. M. che era alla guida del motociclo Yamaha 750 tg. BO ******, in seguito ad invasione della carreggiata di pertinenza del M.. In seguito all’urto il sig. M. è rimasto incastrato sotto il gruppo del due motocicli, il suo motociclo si è immediatamente incendiato e i soccorritori, mentre sono riusciti ad allontanare immediatamente dall’incendio il D., non riuscirono a fare altrettanto con il M. che fu allontanato solo dopo in seguito allo spegnimento del fuoco. Il sig. M. venne poi ricoverato al reparto grandi ustionati dell’ospedale B. di C. dove purtroppo decedeva dopo qualche giorno. Gli attori spiegavano la loro qualità di familiari, come sopra indicato, del deceduto e chiedevano il risarcimento del danno costituito da danno morale, danno patrimoniale, inabilità temporanea totale e spese, quantificando tale danno in complessivi € 620.657,88. Riferivano che l’assicurazione aveva corrisposto una somma di € 108.460,00 e chiedevano la corresponsione della differenza. Per il caso che l’istruttoria avesse dimostrato un danno diverso chiedevano il pagamento della somma diversa che sarebbe risultata sempre detraendo la somma già ricevuta.

Con comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata si costituiva il sig. C. che riferiva come il sig. D. avesse preso la moto contro la sua volontà. Riferiva che lo stesso sig. D. aveva chiesto di provare il motoveicolo in un bar. Il sig. C. negò il consenso, ma il D. prese lo stesso il veicolo, approfittando di un attimo di distrazione del sig. C.. In seguito a ciò avvenne l’incidente.

Riteneva che questa circostanza, prontamente comunicata all’Assicurazione, spezzasse la solidarietà che lega il proprietario al conducente del veicolo. Chiedeva pertanto il rigetto delle domande attrici e in ogni caso svolgeva domanda di essere comunque garantito dall’assicurazione.

Con comparsa tempestivamente depositata la C. A. si costituiva in giudizio chiedendo anche lo spostamento dell’udienza per consentire di notificare domanda riconvenzionale nei confronti del C. e del D..

Riferiva da un lato che il sinistro era avvenuto per concorsuale responsabilità dei conducenti dei veicoli perché il sinistro sarebbe avvenuto nel centro della carreggiata e il sig. M. non procedeva a velocità moderata. Evidenziava come il sig. D. non potesse guidare il motociclo perché non aveva mai conseguito la patente di guida apposita. Evidenziava come per tali motivi la garanzia assicurativa non operasse ex art. 15 delle Condizioni Generali del contratto di assicurazione e pertanto chiedeva la rivalsa nei confronti dei sigg.ri C. e D. ai sensi dell’art. 18 L 990/69. In subordine veniva contestato il quantum debeatur, riferiva di avere già corrisposto la somma di € 108460,00 che chiedeva al giudice di considerare esaustiva di ogni pretesa. In ogni caso chiedeva che anche tale somma fosse posta in rivalsa degli altri due convenuti e chiedeva a tal fine lo spostamento dell’udienza per consentire la citazione degli altri due convenuti in ordine a questa domanda di rivalsa.

Il Giudice rigettava l’istanza di spostamento dell’udienza con decreto del 23 novembre 2002 rilevando (in estrema sintesi del decreto stesso) che si trattava di domande che comunque venivano rivolte nei confronti di persone già convenute nel processo e che non vi era necessità di chiamare in causa terzi, riservando comunque la possibilità di disporre la notifica della comparsa di costituzione e risposta all’eventuale convenuto rimasto contumace ai sensi dell’art. 292 c.p.c.

Tale eventualità in effetti si verificava poiché il sig. D. U. rimaneva contumace e pertanto all’udienza del 6 dicembre 2002, dichiarata la sua contumacia, il Giudice disponeva la notifica della comparsa di costituzione e risposta della C. A. al sig. D.. Tale fatto avveniva con notifica a mezzo posta perfezionatasi il 31 dicembre 2002 con notifica ricevuta dalla madre (cfr. avviso di ricevimento contenuto in fascicolo dell’assicurazione).

In sede d’udienza 183 c.p.c. compariva personalmente il solo sig. C. che confermava quanto riferito in comparsa. Il tentativo di conciliazione non aveva luogo per la mancata comparizione delle altre parti.

Concessi i termini di cui all’art. 183 comma 5 c.p.c. e quelli di cui all’art. 184 c.p.c., sostituito il giudice per mutamento di ufficio del primo giudice e per astensione del secondo, siccome questo aveva emesso sentenza penale di applicazione pena su richiesta nei confronti del sig. D., il processo veniva istruito con l’assunzione del rapporto dei Carabinieri intervenuti sul luogo, con produzione documentale e con prove testimoniali. Agli atti vi è anche una perizia cinematica di parte attrice.

Precisate le conclusioni, la causa è stata trattenuta in decisione e sono state depositate tempestivamente da tutte e tre le parti costituite le comparse conclusionali. Solo i due convenuti costituiti hanno depositato le memorie di replica.

Motivi della decisione

Preliminarmente il giudice rileva che in sede di comparsa conclusionale la compagnia di assicurazione rileva come i sigg.ri attori agiscano in qualità di eredi e dunque rileva che buona parte delle domande svolte dagli attori stessi non trovano causa in questa qualità. Si tratta in particolare delle domande di danno morale proprio degli attori, della domanda di danno patrimoniale che non deriva dal danno jure ereditario e tutti i danni eventualmente subiti dai nonni che in effetti non hanno nessun titolo per essere considerati eredi legittimi.

La tesi dell’assicurazione è assai suggestiva perché in effetti nell’atto di citazione si può leggere, nella sola intestazione, che gli attori sono eredi. Ritiene però lo scrivente che tale suggestione debba essere respinta e che sia evidente che il termine eredi esposto nell’intestazione dell’assicurazione sia usato, scorrettamente dal punto di vista della lingua italiana, come sinonimo di familiari del sig. M. E. purtroppo deceduto. Nel resto dell’atto di citazione vengono infatti svolte considerazioni e domande che nulla hanno a che fare con la qualifica di eredi, ma piuttosto con la considerazione di persone direttamente danneggiate dal reato commesso dal sig. D. in quanto familiari la cui vita è stata in qualche modo sconvolta dal tragico fatto accaduto. Infatti, da un lato è evidente che non è spiegato alcun testamento che solo potrebbe spiegare la presenza quali eredi dei nonni, atteso che la presenza di genitori e di una sorella li esclude totalmente da una successione legittima. Le domande svolte poi riguardano anche e per la maggior parte danni subiti in proprio e non solo quali eredi. Ritiene pertanto lo scrivente che non si debba dare valore a quella qualifica atecnica di eredi inserita improvvidamente nell’atto di citazione, ma che lo stesso atto debba essere interpretato alla luce di tutto il complesso di quello che viene descritto e chiesto. Pertanto l’atto di citazione deve essere interpretato nel senso che vengono svolte domande che riguardano i danni in proprio oltre che quelli subiti dal de cuius e poi ereditati dagli attori. Conclusivamente, tutte le domande svolte dagli attori devono essere prese in considerazione nel merito.

Per quanto riguarda la dinamica dell’incidente si dice subito che gli attori, a parere dello scrivente, non riescono a vincere la presunzione di cui all’art. 2054 c.c. comma 2°. Infatti, posto che nessuno ha visto direttamente l’incidente (cfr. testi M., C. e T. verso la fine della deposizione), la migliore ricostruzione dell’incidente possibile è quella svolta dai Carabinieri successivamente intervenuti. Il loro rapporto redatto dagli stessi e dagli attori richiesto ai sensi dell’art. 11 comma 4 C.d.S. e 21 commi 3, 4, 5 e 6 reg. C.d.S., è pienamente utilizzabile come prova per formare il libero convincimento del giudice (vedi anche art. 213 c.p.c. ritenendo di poter assimilare il rapporto in questione alle informazioni richiedibili d’ufficio dal giudice alla Pubblica Amministrazione). Il rapporto è stato inoltre confermato nelle sue risultanze dal m.llo C. M. L. della Stazione dei Carabinieri di Sesto Imolese che lo ha redatto (vedi deposizione del 19 settembre 2005).

In questo rapporto dunque si legge chiaramente che il ciclomotore guidato dal sig. D. percorreva la via Di S. con direzione da R. a B. e all’altezza del civico 66 della via collideva frontalmente con il ciclomotore guidato dal sig. M.. È indubbio che la posizione finale dei mezzi permette di dire che con tutta probabilità il sig. D., alla guida della moto, invase la corsia di pertinenza del sig. M. il quale non riuscì ad evitare la collisione. Preso atto di ciò però non si può dire nulla della velocità tenuta dai veicoli e pertanto l’affermazione degli attori contenuta in comparsa conclusionale della bassissima velocità tenuta dal loro congiunto è sfornita di prova.

A conforto di ciò si veda anche la conclusione del Perito S. che ha svolto consulenza al di fuori del processo per conto degli odierni attori. Questi scrive che gli elementi per determinare la velocità sono pochi (pag. 19 della relazione) e che pochi sono anche gli elementi per dire se vi fu frenata o meno.

Si deve a questo punto rilevare le condizioni del luogo che sono descritte nel rapporto dei Carabinieri come rettilineo e curva a parziale visuale libera che permette al medesimo perito (pag. 20 della relazione) che ci era possibilità di avvistamento a 40 – 50 metri l’uno dall’altro. Il medesimo Perito segnala la possibilità di svolgere, sia pure limitatamente, manovre di emergenza che sia per il M. che per il D. avrebbe dovuto portare i due veicoli verso l’esterno della curva.

Preso atto di ciò, si deve dire che ai sensi dell’art. 2054 comma 1° c.c. il conducente coinvolto nel sinistro deve dare la prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il sinistro. Già la semplice mancanza della prova dell’effettuazione di manovre di emergenza in una condizione che comunque le consentiva sia pure in modo limitato permette di dire che manca la rigorosa prova richiesta dalla norma in esame.

Ma vi è da dire molto di più perché dal rapporto dei Carabinieri emergono notizie molto interessanti che evidenziano come l’incidente abbia una genesi più complessa di quella che subito appare manifesta.

Infatti dalle deposizioni raccolte si rileva con certezza che il sig. D. era in un evidente stato di alterazione psicofisica come attestato dai testi indotti dal sig. C.. Si veda in particolare il teste Martelli che senza alcuna perifrasi, usate invece da altri testi per evidenti motivi di delicatezza, ha definito il D., detto "B." come in condizione di essere considerato "ubriaco duro" al momento del fatto. Detto ciò tali condizioni sono state puntualmente confermate dai prelievi ematologici che evidenziavano come il sig. D. presentasse un tasso alcolico di 1,44 g/l di sangue che è ben superiore al limite di 0,80 g/l di sangue ammesso all’epoca dei fatti (4 ottobre 1999). Dal referto delle analisi si rileva che non solo risultava lo stato di ebbrezza, ma che il sig. D. era anche sotto l’influsso di sostanze stupefacenti tipo cocaina nella misura di 0,71 microgrammi per millilitro. In definitiva il sig. D. per il semplice fatto di essersi posto alla guida in quelle condizioni aveva commesso sia il reato di cui all’art. 186 che il reato di cui all’art. 187 C.d.S.

Ma il sig. D. non era l’unico a guidare in queste condizioni.

Infatti i dati clinici attestano che le medesime problematiche erano presentate anche dal sig. M. che è deceduto a causa dell’incendio seguito all’incidente. Infatti si legge chiaramente dagli accertamenti svolti dall’ospedale civile di I. che il sig. M. E. presentava un tasso alcolico pari a 1,22 g/l superiore anch’esso al limite all’epoca ammesso di 0,80 g/l e presentava anch’esso le risultanze di essere sotto l’influsso di sostanze stupefacenti tipo cocaina presentando una concentrazione inferiore ai 5,00 microgrammi per litro. Si deve ricordare che la semplice dimostrazione di essere sotto l’influsso di sostanze stupefacenti, quale che sia la concentrazione presentata è rilevante per l’art. 187 C.d.S. non essendoci soglia di tolleranza diversamente che per l’assunzione di sostanze alcoliche.

La spiegazione del perché tutti e due si trovassero in quelle condizioni è spiegata dal rapporto dei Carabinieri dove si può leggere (pag. 4) che "…entrambi i coinvolti, prima del sinistro avevano partecipato ad una cena, insieme ad altri amici, per festeggiare la festa Parrocchiale di S. Festa che, per i giovani del luogo, è consuetudine festeggiare travestendosi ed esagerando nei divertimenti, facendo carosello con le auto e le moto ed abusando con l’alcool. È logico presumere che durante la cena e, successivamente, presso il centro sociale dove si erano trovati insieme ad altri amici i coinvolti abbiano fatto abuso delle sostanze evidenziate dagli esami tossicologici. Si fa altresì rilevare che il D. U., a bordo della medesima moto, prima dell’incidente, era già caduto nel piazzale del centro sociale a causa delle proprie condizioni psico – fisiche, mentre il M. E. era stato notato fare testa coda e delle sgommate nel parcheggio del predetto centro sociale con la propria autovettura ed in seguito visto a bordo della moto con altre due persone (viaggiavano in tre)".

Dunque appare evidente che anche il sig. M. per il semplice fatto di essersi messo alla guida aveva commesso i medesimi due reati previsti e puniti dagli art. 186 e 187 C.d.S. che erano stati commessi dal sig. D..

È assolutamente evidente che le condizioni, attestate strumentalmente, nelle quali il sig. M. conduceva il veicolo impediscono in modo aprioristico di dimostrare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno. Infatti sia il M. che il D. per fare ciò avrebbero dovuto dimostrare di essersi astenuti dal guidare che era la cosa che l’ordinamento giuridico, se non il buon senso, chiede a chi si trova nelle condizioni in cui si trovavano loro.

Nessuno dei due ha dimostrato pertanto di avere fatto di tutto per evitare il sinistro e nessuno dei due ha superato la presunzione di cui all’art. 2054 comma 2° c.c.

I due devono pertanto essere considerati responsabili del fatto in maniera uguale ai sensi dell’art. 2054 comma 2° c.c.

Ovviamente questa conclusione è perfettamente compatibile con l’accertamento di cui alla sentenza penale pur non facendo la stessa stato nel presente procedimento ed essendo la stessa emessa in seguito ad applicazione pena su richiesta. Infatti le conclusioni sopra viste in punto di responsabilità, ritenuta paritaria, non esclude, ma, anzi, afferma la responsabilità penale del sig. D. per il fatto di omicidio colposo di cui alla sentenza. Solo che per quanto riguarda gli effetti civili la responsabilità deve essere divisa al 50 %.

Dunque, per quello che riguarda il sig. D., egli deve essere condannato a risarcire il danno subito dagli odierni attori per il fatto della morte del loro congiunto nella misura del 50 % del danno effettivamente subito dagli stessi sia jure proprio che jure ereditario.

Preso atto di ciò i sigg.ri attori chiedono la liquidazione di un danno di € 130.000,00 per ogni genitore, di € 31.000,00 per ogni fratello e di € 20.000,00 per ogni nonno. Poi viene chiesto un importo di € 258.230,00 per danno patrimoniale, rappresentando un guadagno di € 80.000,00 all’anno, € 12.911,42 per spese funerarie ed € 516,46 per danno inabilità temporanea.

Quanto ai criteri di liquidazione del danno, come è noto, con una serie di sentenze emesse nell’arco del 2003, la Corte di Cassazione ha rivoluzionato la sistemazione delle varie voci di danno risarcibili in caso di fatto illecito, con riferimento al danno biologico e al danno morale. Importanti sono le sentenze 7281/2003, 7282/2003 e 7283/2003 tutte depositate il 12 maggio 2003 con le quali è stato stabilita la possibilità di liquidare il danno non patrimoniale quando non fosse positivamente accertato un reato cosa che accadeva in modo particolare quando si ricorreva per il riconoscimento dell’illiceità del danno alle forme di responsabilità presuntiva come quelle di cui agli artt. 2050 e ss. c.c. Tale sentenze hanno permesso il mutamento di giurisprudenza successivo effettuato con sentenze 8827 e 8828 del 31 maggio 2003 che hanno ricondotto le tipologie di danno risarcibile a due: il danno patrimoniale e il danno non patrimoniale, eliminando le ipotesi di tertium genus che si erano andate moltiplicando dopo che in precedenza, come tale era stato riconosciuto il danno biologico (Cass. 184/86) la cui risarcibilità veniva fatta scendere direttamente dall’art. 2043 c.c. considerato come norma in bianco. Scrive ora la Corte, nella sentenza 8827/2003, che "l’art. 2059 c.c. nella parte in cui limita la risarcibilità del danno non patrimoniale ai soli casi previsti dalla legge, va interpretato in senso conforme alla Costituzione; ne consegue che, là dove l’atto illecito leda un interesse della persona di rango costituzionale, il risarcimento del danno da lesione di interessi non patrimoniale spetta in ogni caso, anche al di fuori dei limiti imposti dall’art. 2059 c.c. La liquidazione dei danni non patrimoniali (nei quali rientrano il danno biologico, il danno morale, il danno da lesione di interessi non patrimoniali costituzionalmente protetti), la quale può avvenire anche in modo unitario e complessivo, deve tuttavia evitare duplicazioni risarcitorie, e quindi va compiuta opportunamente riducendo l’importo del danno morale, quando della sofferenza psichica causata dall’illecito si sia debitamente tenuto conto nel liquidare il danno biologico o altri danni non patrimoniali.

Conseguentemente si può continuare a mantenere la distinzione tra danno biologico e danno morale pur tenendo conto che fanno parte di un unico danno non patrimoniale che può essere pure liquidato complessivamente e nell’ambito del quale la valutazione dell’uno influisce indubbiamente in quella dell’altro.

Si rileva immediatamente che il sig. M. risulta essere sopravvissuto per qualche giorno all’incidente e che ha trascorso i suoi ultimi giorni presso il reparto grandi ustionati dell’ospedale B. di C. dove è poi deceduto per i gravi postumi. Pertanto il sig. M. appare avere maturato un danno biologico permanente jure proprio che si trasmette agli eredi. Tuttavia questo danno non viene richiesto dagli attori e pertanto non viene liquidato. Deve invece essere liquidato il danno da inabilità temporanea totale richiesto. Questo danno che è stato richiesto dagli attori ed è certamente un danno proprio del sig. M. che viene acquisito jure ereditario dagli eredi. Esatte sono le considerazioni in punto di qualità di eredi legittimi svolte dalla Assicurazione. Questi non possono essere altri che la sorella e i genitori ai sensi dell’art.571 c.c. e pertanto trattandosi veramente questa voce di danno richiesta jure ereditario questa voce di danno viene riconosciuta solo nei confronti di questi eredi (sigg.ri M. M., L. N. e M. J.).

La somma richiesta a questo titolo di € 516,46 appare assolutamente congrua tenuto conto che la stessa è comunque relativa ad una inabilità totale temporanea subita non in un ottica di guarigione e sopravvivenza, ma, al contrario, seguita dalla morte.

Per quanto riguarda il danno morale, si deve dire innanzitutto che il fatto che tale voce di danno sia dovuta è fuori discussione: si è appena sopra ricordato che la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. impone di liquidare questa somma anche nei casi in cui sia impossibile accertare l’esistenza di un reato come è nei casi in cui la responsabilità viene attribuita applicando le ipotesi che prevedono fattispecie presuntive come è l’art. 2054 c.c. che sarebbe applicabile al caso concreto. Ma in questo caso la violazione delle norme cautelari di cui all’art. 186 e 187 C.d.S. pure commesse dal sig. D. permette di riconoscere la sussistenza di un ipotesi di reato (l’omicidio colposo di cui all’art. 589 aggravato dal fatto che le norme cautelari violate sono quelle relative alla regolamentazione della circolazione stradale – commi successivi dell’art. 589 c.p. -) e dunque anche in base alla vecchia giurisprudenza, per il combinato disposto degli art. 2059 c.c. e 185 c.p., non vi è alcun dubbio sul fatto che il sig. D. debba risarcire il danno morale.

Premesso questo sull’an, si deve dire, con riguardo al quantum, che le somme richieste dai genitori sono vicine alla valutazione massima consentita dalla tabella in uso al Tribunale di B. (vedila in Guida al Diritto Dossier. N. 6 del giugno 2005 "Danno Biologico le tabelle dei Tribunale" pag. 83. Si ritiene di dovere ritenere che la valutazione di tale danno morale debba essere contenuta rispetto alla richiesta nella misura di € 100.000,00 per ciascun genitore considerando da una parte che il sig. M. ancora viveva in famiglia e che addirittura collaborava all’azienda paterna e dall’altra il fatto che ha contribuito alla causazione del danno.

Alla sorella, sig.ra M. J., il danno morale viene pure liquidato, per i medesimi motivi, considerando che anche qui vengono chiesti i valori massimi previsti dalla tabella, nella misura di € 20.000,00 in luogo degli € 31.000,00 richiesti.

Il danno morale subito dai nonni può essere liquidato nella misura di € 10.000,00 a testa atteso che la ancora giovane età del sig. M. porta ad affermare l’esistenza di notevoli rapporti di frequentazione che determinano indubbiamente un danno morale.

Per quanto riguarda il danno patrimoniale da danno emergente dovuto agli esborsi per spese funerarie, non è contestato che le stesse ammontino ad € 12.911, 42 e che le stesse siano uscite dal patrimonio paterno Dunque in favore del sig. M. M. devono essere riconosciute il rimborso delle dette spese.

Per quanto riguarda il danno patrimoniale da lucro cessante occorre dare atto che è stato depositato una denuncia dei redditi che attesta per l’anno precedente un reddito di € 80.000,00. Tuttavia questo è il reddito di M. M. padre del defunto ed è relativo alla sua attività artigianale. È assolutamente vero che il sig. M. E. lavorava in questa attività come pure risulta dalla denuncia dei redditi, ma è altrettanto vero che dire che il reddito di € 80.000,00 ammonta al reddito di M. E. non corrisponda alla realtà. A questo punto si deve rilevare che per la liquidazione del danno patrimoniale si può procedere ad una valutazione equitativa solo ai sensi dell’art. 1226 c.c. la cui applicazione presuppone un danno non provato nel suo preciso ammontare per caratteristiche proprie del danno stesso che ne rende difficile una sua quantificazione precisa. Tutto ciò presuppone un completo adempimento dell’onere probatorio che non si può dire certamente assolto con la produzione in giudizio di una denuncia dei redditi relativa a persona diversa dall’interessato. Dunque non avendo bene assolto gli attori al proprio onere probatorio (avrebbero ben potuto indicare in che cosa consisteva la collaborazione dal punto di vista delle mansioni e delle qualità mostrate sul lavoro e dedurre prove sul punto come, magari, il fatto che dopo la morte del figlio era stato assunta una persona in sua vece con conseguente quantificazione della perdita basata sugli stipendi di questo), non resta che rigettare questa parte di domanda.

In considerazione del ritenuto concorso di colpa al 50 % per mancato superamento della relativa presunzione di tutti i danni ritenuti liquidabili il sig. D. è tenuto a corrisponderne solo la metà e cioè la somma di € 50.000,00 per ciascun genitore a titolo di danno morale, € 10,000,00 per la sorella ed € 5000,00 per ciascun nonno. Inoltre è tenuto a risarcire in la somma di € 6455,71 quale metà delle spese funerarie ed € 258,21 per danno da inabilità temporanea.

Si deve tenere conto che sono già state versate dall’assicurazione la somma di € 108.460,00 e dunque la somma complessiva da versare da parte del sig. D. ammonta ad € 23.253,92.

Tutte le somme dette, tranne quelle relative alle spese funerarie, sono determinate al valore attuale della moneta. Dunque, per il danno non patrimoniale, per il calcolo degli interessi dovuti per il danno da ritardo (nella misura legale pro tempore vigente) occorre applicare il criterio di cui alla nota sentenza Cass. civ. S.U. 17 febbraio 1995 n. 1712, secondo il quale gli interessi sui debiti di valore vanno calcolati sulla somma corrispondente al valore della somma al momento dell’illecito, via via rivalutata anno per anno sulla base degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. In applicazione di tale criterio al fine del calcolo degli interessi la somma come sopra determinata deve essere previamente devalutata in base ai detti indici e sulla stessa, progressivamente rivalutata di anno in anno devono calcolarsi gli interessi al tasso legale. Ciò fino alla data della sentenza o dalla data del pagamento effettivo (in considerazione che è stato corrisposto un acconto assai cospicuo in relazione alla somma concretamente liquidata. Da quel momento in poi fino al saldo effettivo (dunque per le somme già pagate null’altro è dovuto) sono dovute su tutte le somme, danno liquidato e somma ottenuta dal calcolo degli interessi, gli interessi legali fino al saldo effettivo.

Invece sul danno per le spese funerarie, trattandosi comunque di danno di valuta, vanno applicati gli interessi legali nella misura vigente sulla somme appositamente liquidata, senza alcuna devalutazione.

Di tutte queste somme dovrebbe essere chiamato a rispondere anche il sig. C. M. proprietario del ciclomotore utilizzato dal D.. Tuttavia, a parere dello scrivente, il sig. C. ha dato la prova richiesta dall’art. 2054 comma 3° c.c. di avere vietato al sig. D. la circolazione con il suo veicolo e che pertanto la circolazione dello stesso avvenisse contro la sua volontà. Infatti, i testi da lui indotti, in particolare il già citato sig. Martelli, hanno riferito che era evidente lo stato di ubriachezza del sig. D., che per il resto non godeva neppure di fama di affidabilità tale da consentire con tranquillità di affidargli un potente mezzo di trasporto come il motore Yamaha anche in stato di sobrietà. Dunque, quando il sig. D. chiese al sig. C. di fargli fare un giro questi rifiutò recisamente, spostò il motore e mise via le chiavi proprio al fine di frustrare ogni velleità del D.. Nonostante il divieto, il D. si impossessò del motore asportando dal casco del C. le chiavi del motore, approfittando del fatto che questi si era allontanato dal luogo dove lo aveva riposto per avvicinarsi al bancone del bar. Saputo ciò il C. tentò di inseguirlo, ma lo raggiunse solo dopo che il D. aveva già avuto l’incidente.

Il sig. D. per guidare il veicolo ha pertanto commesso il delitto di furto sia pure in relazione alla fattispecie di cui all’art. 626 c.p. ed è pertanto evidente che il sig. D. guidava la moto in dispregio del divieto datogli dal sig. C..

Il danno deve essere risarcito anche dall’Assicurazione che materialmente ha corrisposto la somma di e 108.460,00 di cui si è già detto.

Infatti ai sensi dell’art. 1 comma 3° L. 990/69, in vigore all’epoca dei fatti, "l’assicurazione stipulata ai sensi della presente legge spiega il suo effetto, limitatamente alla garanzia per i danni causati ai terzi non trasportati o trasportati contro la propria volontà, anche nel caso di circolazione avvenuta contro la propria volontà, anche nel caso di circolazione avvenuta contro la volontà del proprietario, usufruttuario, o acquirente con patto di riservato dominio del veicolo, salvo, in questo caso, il diritto di rivalsa dell’assicuratore verso il conducente".

Dunque l’assicurazione convenuta deve essere condannata a pagare in solido il residuo delle somme come sopra liquidate.

L’assicurazione convenuta in proposito ha spiegato apposita domanda riconvenzionale notificando la relativa compara al sig. D. ai sensi dell’art. 292 c.p.c. essendo rimasto contumace il medesimo D..

Il titolo fondante della pretesa dell’assicurazione è dato dal già citato art. 1 comma 3° L. 990/69.

Il sig. D. deve pertanto essere condannato a tenere indenne l’assicurazione per tutte le somme che l’assicurazione deve corrispondere o ha già corrisposto in favore dei congiunti del sig. M..

La stessa domanda l’Assicurazione ha rivolto, ex art. 18 L. 990/69, nei confronti del sig. C. proprietario del veicolo, ritenendo che lo stesso abbia violato per scorretta custodia del veicolo l’art. 15 delle condizioni generali di contratto di assicurazione dallo stesso sottoscritte.

Tale asserita violazione non ha influenza sull’obbligo che l’assicurazione ha nei confronti dei congiunti del sig. M.. Infatti l’art. 18 comma 2° L. 990/69 dispone che l’assicuratore non può opporre al danneggiato che agisce direttamente nei suoi confronti eccE.ni derivanti dal contratto, ne clausole che prevedano l’eventuale contributo dell’assicurato al risarcimento del danno. "L’assicuratore ha tuttavia diritto di rivalsa verso l’assicurato nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione".

Questa è proprio la norma che la C. intende fare valere e a tal fine deduce che il sig. C. ha violato il predetto art. 15 delle condizioni generali di contratto.

Tuttavia, siccome clausola contrattuale, il citato art. 15 non è possibile che venga verificato direttamente dal giudice come se fosse un testo di legge, neanche nell’ipotesi che già lo conosca per scienza propria dovuta a pregresse esperienze. Preso atto di ciò il giudice rileva che, benché cercate all’interno del fascicolo, le condizioni generali di contratto dell’assicurazione non sono state prodotte da nessuna delle parti e il giudice non le conosce e non è stato in grado di esaminarle. Per inciso, si rileva anche che la presenza delle condizioni generali di contratto dell’assicurazione che conterrebbero l’art. 15 invocato dall’assicurazione non risulta neppure negli indici di cui agli art. 74 ed 87 disp. att. c.p.c. alla cui corretta tenuta è comunque legata la regolarità delle produzioni documentali e la cui scorretta tenuta può determinare anche la non utilizzabilità di documenti non elencati ma comunque presenti di fatto nel fascicolo.

Si rileva che non vi è discussione sulla sussistenza del contratto di assicurazione che come si sa deve essere provato per iscritto: tutte le parti danno per scontata nelle loro difese ed argomentazioni l’esistenza del contratto di assicurazione e pertanto non si verte in un problema di prova del contratto che come dalla legge previsto deve essere provato per iscritto. Non si discute neppure della sussistenza del citato art. 15 perché, se bene si vedono le difese del sig. C., esso afferma per mezzo del Difensore che la sua condotta è conforme a quella clausola contrattuale e dunque la sua difesa è incompatibile con una contestazione di non esistenza della clausola.

Tuttavia al giudice è stato impedito di prendere cognizione di quella clausola e conseguentemente di paragonare se il caso concretamente accaduto debba essere ritenuto violazione della clausola contrattuale o meno.

Dall’impossibilità di effettuare questo paragone ne consegue la mancata prova della fondatezza della domanda di rivalsa, il rigetto della domanda dell’Assicurazione nei confronti del sig. C. e la condanna alle spese dell’assicurazione nei confronti del sig. C..

Per quanto riguarda le spese di causa dei congiunti del sig. M., queste devono essere pagate dal D. e dall’assicurazione nella misura della metà dell’importo che viene liquidato in dispositivo in considerazione dell’importo già versato precedentemente. La restante metà si intende compensata tra le parti esistendo giusti motivi di compensazione nel fatto che il congiunto degli attori è comunque responsabile al 50 % nel sinistro e che l’assicurazione ha già corrisposto da tempo buona parte della somma oggi liquidata.

Le spese tra i congiunti del sig. M. e il sig. C. sono da intendersi integralmente compensate tra di loro esistendo giusti motivi di compensazione delle spese nel fatto che il sig. C. era comunque il proprietario del veicolo guidato dal sig. D. e dovendo la sua assenza di responsabilità essere accertata nel corso del giudizio.

Il sig. D., quale effetto dell’accoglimento dell’azione di rivalsa, è tenuto a rinfondere le spese pagate dall’assicurazione nei confronti dei congiunti del M. nella medesima misura che è tenuto a corrispondere direttamente ed è inoltre condannato a pagare integralmente le spese di causa esposte dall’assicurazione essendo rimasto totalmente soccombente nell’azione di rivalsa.

Tutte le spese sono liquidate come in dispositivo. Non essendo stata trovata la nota spese delle A. le relative spese sono liquidate d’ufficio.

P.Q.M.

Il Tribunale di Bologna, sezione distaccata di Imola, in persona del dott. Sandro Pecorella, definitivamente pronunciando nella causa (n.r. 20336/2002) traM. M., L. N., M. J., M. B., T. E., L. M. G.

controD. U.

controC. M.

controS. C. di A. Coop. a.r.l.

avente per oggetto: azione di risarcimento del danno e domanda riconvenzionale di rivalsa

ogni diversa istanza disattesa e respinta

 

dichiara il concorso di colpa nella misura del 50 % di D. U. nell’incidente stradale nel quale è deceduto M. E.;

dichiara che D. U. è tenuto a pagare in favore di M. M. la somma e L. N. la somma di € 50.000,00 per ciascuno dei due quale quota del 50 % del danno morale subito da ciascuno dei due;

dichiara che D. U. è tenuto a pagare in favore di M. J. la somma di € 10.000,00 quale quota del 50 % del danno morale da essa subito;

dichiara che D. U. è tenuto a pagare in favore di M. B., T. E., L. M. G. la somma di € 5.000,00 per ciascuno dei tre quale quota del 50 % del danno morale subito da ciascuno dei tre;

dichiara che D. U. è tenuto a pagare in favore di M. M., L. N. e M. J., quali eredi di M. E. la somma di € 258,21 quale quota del 50% del danno da invalidità temporanea totale;

dichiara che D. U. a pagare quale quota del 50 % del danno emergente per spese funerarie in favore di M. M. la somma di € 6455,71 oltre interessi nella misura legale pro tempore vigente dalla data del pagamento fino al saldo effettivo;

dichiara che D. U. è tenuto a pagare in favore di ciascuno degli attori sulle somme sopra liquidate a titolo di danno morale e di danno biologico da invalidità temporanea, gli interessi legali, calcolati sul valore che sarebbe stato liquidato il giorno dell’incidente (valore da calcolare devalutando le somme sopra dette dalla data odierna fino al giorno dell’incidente secondo l’indice ISTAT), rivalutata di anno in anno dalla data dell’incidente fino alla data della presente sentenza ovvero fino alla diversa data del pagamento della somma di € 108.460,00 già corrisposte dalla S. C. di A. Coop. a.r.l. oltre gli ulteriori interessi legali su tutte le somme che residuano ancora non pagate fino alla data della presente sentenza fino al pagamento effettivo;dichiara che la S. C. di A. coop. a.r.l., è tenuta, in solido con D. U., nei limiti del massimale, a pagare le medesime somme a cui è tenuto al pagamento D. U.;

dichiara che la S. C. di A. coop. a.r.l. ha già corrisposto la somma di € 108.460,00 e conseguentemente condanna D. U. e S. C. di A. coop. a.r.l., in solido fra loro, a pagare il residuo che ammonta ad € 23.253,92, oltre gli interessi legali nelle rispettive misure calcolate sulla base dei parametri sopra indicati;rigetta le domande tutte rivolte da M. M., L. N., M. J., M. B., T. E., L. M. G. e da S. C. di A. coop. a.r.l. nei confronti di C. M.;

condanna D. U. a pagare in favore di S. C. di A. coop. a.r.l. tutte le somme da questa effettivamente pagate in favore di M. M., L. N., M. J., M. B., T. E., L. M. G. compresa la somma di € 108.460,00 e il residuo di € 23.253,92 oggi liquidato, gli interessi legali come sopra indicati e le spese di causa sempre corrisposte da S. C. di A. coop. a.r.l. liquidate subito sotto nella medesima misura a cui è condannato al pagamento diretto;liquida le spese di causa in favore di M. M., L. N., M. J., M. B., T. E., L. M. G. nella complessiva misura di € 27.429,48 di cui € 920,48 per spese, € 4.644,00 per competenze ed € 21.865,00 quali onorari, oltre 12,5 % quali spese generali ed oltre IVA e CPA come per legge;

condanna D. U. e S. C. di A. Coop. a.r.l., in solido fra loro, a pagare in favore di M. M., L. N., M. J., M. B., T. E., L. M. G., la metà delle spese di lite sopra liquidate dichiarando compensate tra le parti la restante metà;

dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di causa tra M. M., L. N., M. J., M. B., T. E., L. M. G. da una parte e C. M. dall’altra;

condanna S. C. di Assicurazione coop. a.r.l. a pagare in favore di C. M. le spese di causa da questo sostenute che liquida nella complessiva misura di € 11.917,50 di cui € 17,50 per spese, € 3.158,00 per competenze ed e 8.742,00 per onorari, oltre 12,5 % quali spese generali ed oltre IVA e CPA come per legge;

condanna D. U. a pagare in favore di S. C. di A. coop. a.r.l. le spese di causa da quest’ultima sostenute che liquida d’ufficio nella complessiva misura di € 8.000,00 di cui € 2.000,00 per competenze ed € 6.000,00 per onorari, oltre IVA e CPA come per legge.

Sentenza esecutiva per legge.

Imola, 13 aprile 2006.

Il giudice