Sentenze

Sentenze

Azione di risarcimento danni derivante da colpa medica-dimenticanza di un garza-invalidità temporanea,decesso paziente-condanna il medico a risarcire il danno biologico,morale e le spese mediche e l’Ausl a pagare le somme liquidate e interessi leg

29 marzo 2016

Azione di risarcimento danni derivante da colpa medica-dimenticanza di un garza-invalidità temporanea,decesso paziente-condanna il medico a risarcire il danno biologico,morale e le spese mediche e l’Ausl a pagare le somme liquidate e interessi legali.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Bologna, sezione distaccata di Imola, in persona del dottor Sandro Pecorella ha pronunziato la seguente

SENTENZA       

nella causa iscritta al n. 20882/2001 di R.G. degli affari contenziosi civili, posta in decisione all’udienza del 14 marzo 2005 previa assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e successive memoria di revoca, promossa da S. E.  e continuata da S. P. e T. A. nella qualità di eredi,  rappresentati e difesi, come da mandato in calce alla comparsa di costituzione ex art. 302 c.p.c., dall’avv. P. Di C. del Foro di Ravenna ed elettivamente domiciliati presso il di lei studio in Imola, via P. 7 c/o avv. E. C..

Attori

contro

P. P. rappresentato e difeso per mandato in calce alla copia notificata dell’atto di citazione dall’avv. G. G. ed elettivamente domiciliata presso lo studio di questi in Imola, via A. 38.

Convenuto

contro

Azienda Unità Sanitaria Locale di Imola in persona del Direttore Generale S. V. (Del. N. 377/6 del 10 settembre 2001), rappresentata e difesa per mandato in calce alla copia notificata dell’atto di citazione dall’avv. G. G. ed elettivamente domiciliata presso lo studio di questi in Imola, via A. 38.

Convenuto

avente per oggetto: condanna al risarcimento del danno derivante da colpa medica.

Conclusioni per gli attori (come da comparsa di costituzione ex art. 302 c.p.c.):

Piaccia all’Ill.mo Tribunale di Bologna – sezione distaccata di Imola, previa ogni più opportuna declaratoria in ordine alla esclusiva responsabilità del dott. P. P. M. e della organizzazione sanitaria dell’AUSL di I. nella produzione del danno per cui è causa:

accertare l’entità dei danni riportati dal sig. S. E. a seguito del comportamento colposo del dott. P. P. M. e della organizzazione sanitaria dell’AUSL di I. durante l’operazione chirurgica subita dall’attore in data 5 aprile 1999;

accertare la correlazione esistente fra tali danni ed il quadro menomativi che dessi discendono in termini di ITT danno biologico e danno morale e conseguentemente:

dichiarare tenuti e condannare il dott. P. P. M. e la AUSL di I. (BO9 in persona del Direttore Generale, a pagare al sig. S. E. la somma di £. 69.895.65/ € 36.098,09, o la maggiore o minore che risulterà di giustizia in base alle risultanze istruttorie, a titolo di integrale risarcimento del danno fisico subito dall’attore.

Con computo degli interessi compensativi da quanto dovuti fino al saldo.

Con vittoria di spese, competenze ed onorari

Conclusioni per i convenuti (foglio allegato al verbale di udienza del 14 marzo 2005):

Piaccia all’On.le Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione reietta, disattendere qualsiasi pretesa risarcitoria superiore alla somma di € 7230,40 (£. 14.000.000) già formalmente offerta il 20 agosto 2001 e rifiutata dall’attore.

Spese compensate.

Salvis juribus.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato il sig. E. S. conveniva in giudizio il sig. P. P. e l’AUSL di I., in persona del legale rappresentante pro tempore per sentirli condannare in solido fra loro al risarcimento dei danni morali e materiali subiti in ragione dell’intervento chirurgico su di lui eseguito dal dott. P., incaricato dall’AUSL del servizio di chirurgia presso il locale nosocomio in data 5 aprile 1999.

Riferiva che in seguito alla dimissione per questo intervento subiva un primo ricovero in data 17 aprile 1999 per ferita chirurgica infetta, con linfangite e linfadenite satellite che durava dal 9 maggio 1999 al 17 maggio 1999.

Riferiva che successivamente le sue condizioni generali subivano un progressivo peggioramento, con dimagrimento, astenia, impossibilità di normale vita biologica e lavorativa. La situazione culminava con un nuovo ricovero in data 28 luglio 2000 dove venivano riscontrate lieve iperdiafania diffusa e aorta leggermente addensata non ectasica. Il 4 agosto 2000 veniva eseguita una duodenoscopia che evidenziava un quadro ecografico di nefrosclerosi. Il 4 settembre 2000 l’ecocolordoppler all’aorta addominale e alle arterie renali evidenziava la necessità di effettuare un angioplastica renale che accertava una stenosi delle arterie renali che comportavano l’opportuno intervento chirurgico in data 18 settembre 2000.

In data 19 settembre 2000 la radiografia rappresentava l’esistenza di un corpo estraneo metallico di circa 8 – 10 cm di lunghezza presso l’epigastrio.

Il 16 ottobre 2000 la TAC eseguita presso l’ospedale di Imola evidenziava la presenza di una tumefazione rotondeggiante posta anteriormente all’antro gastrico, fra questo e la parete addominale, del diametro massimo di cm 5 del quale si apprezza filo iperteso da ricondursi a repere radiopaco di garza. Cranialmente tale tumefazione appare adesa alla parete anteriormente dello stomaco.

Il corpo estraneo veniva rimosso proprio dal dott. P. in data 18 ottobre 2000 e il sig. S. veniva dimesso al termine del decorso postoperatorio il 2 novembre 2000.

Riteneva l’attore che la garza fosse stata lasciata nell’operazione del 5 aprile 1999 e chiedeva il risarcimento dei danni,  biologico, morale e rimborso spese mediche sostenute in proprio per un ammontare corrispondente a quello già esposto sopra nella riportate conclusioni.

Si costituivano tardivamente il 3 dicembre 2001 (l’udienza era fissata per il 7 dicembre 2001), con unica comparsa di costituzione e risposta i due convenuti che ammettevano la responsabilità del dott. P. e dell’AUSL per la garza dimenticata nell’addome del sig. S..

Quello che contestavano i convenuti era che tale corpo estraneo avesse influenzato la patologia vascolare di cui pure soffriva il sig. S. e che avevano causato l’intervento alle arterie renali. Riferivano che i sintomi riferiti dal sig. S. alla garza (aerofagia e senso di pesantezza) fossero dovuti alla gastrite di cui pure soffriva il paziente e che non era imputabile alla garza. Riferivano che l’Assitalia, che assicura i convenuti aveva già offerto la somma di £. 14.000.000 rifiutata dall’attore.

L’attore decedeva pochi giorni dopo l’udienza (l’11 dicembre 2001) e gli eredi si costituivano in sua vece provocando la continuazione del processo ai sensi dell’art. 302 c.p.c., senza determinare la sua interruzione.

Il processo veniva istruito solo con produzione documentale (essenzialmente medica oltre alla documentazione relativa alle richieste di danno e all’offerta transattiva) e sulla base di questa veniva disposta CTU medico legale al quale è stato demandato anche l’accertamento dell’eventuale influenza della garza sull’evento morte del sig. S..

Depositata la perizia gli attori depositavano controdeduzioni che provocavano una richiesta di termine da parte dei convenuti per le opportune controdeduzioni. All’udienza successiva, depositate le controdeduzione da parte dei convenuti venivano fatte precisare le conclusioni come in epigrafe riportate.

La causa veniva quindi trattenuta in decisione previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali ed eventuali repliche.

Tutte e due le parti depositavano comparse conclusionali, mentre i  convenuti depositavano anche memoria di replica.

Motivi della decisione

Preliminarmente si deve dire che certamente la morte del sig. S. non è in nessun modo collegata alla dimenticanza della garza. Nessun indicazione del genere viene dalla documentazione medica e su questa conclusione sono d’accordo i consulenti di tutte le parti compreso quello del Giudice.

Per il resto, si osserva che nessun dubbio vi è sulla responsabilità del dott. P. e dunque dell’AUSL di I. sul fatto che l’intervento chirurgico dell’aprile 1999 abbia comportato la dimenticanza di una garza nell’addome del sig. S..

Si discute solo se tale evento abbia determinato solo i malesseri di cui all’operazione necessaria per la rimozione del corpo estraneo, come sostenuto dai convenuti, oppure tutti i malesseri che hanno interessato il sig. S. dalla data dell’operazione fino all’ultima dimissione del 2 novembre 2000, come voluti dagli attori, oppure dalla data del 28 luglio 2000 data dell’esplosione di tutta una serie di problemi e del ricovero in ospedale al 2 novembre 2000 come sostenuto dal C.T.U.

Si rileva in proposito che con lettera del 20 agosto 2001 l’Assitalia aveva inviato un assegno di £. 14.000.000 milioni a definizione e stralcio della vicenda che era stato restituito dall’attore con lettera del 22 agosto 2001 considerando tale offerta inaccettabile ed irrisoria.

Preso atto di queste tre posizioni si deve dire che nessun rilievo si può dare alle indicazioni date dal C.T.P. di parte attrice circa i continui malesseri che risulterebbero a lui subiti dal sig. S. tra il maggio 1999 e il luglio 2000. Infatti non sussiste documentazione medica sul punto e gli attori non hanno articolato mezzi istruttori (segnatamente con i medici che avrebbero visitato in tale periodo il sig. S. e che sono rimasti sconosciuti perché non rivelati dagli attori) che possano confermare tale assunto. Le deduzioni del C.T.P. sul punto non possono costituire mezzo di prova e pertanto si deve subito dire che è impossibile accogliere la tesi che il sig. S. abbia subito menomazioni per tutto il periodo dall’aprile 1999 al novembre 2000.

Per risolvere invece il contrasto tra le deduzioni del C.T.U. e le considerazioni dei convenuti si deve riportare quanto già scritto in recente sentenza di questo tribunale a proposito della natura della responsabilità per fatti inerenti l’esercizio dell’arte medico chirurgica. La ripartizione dell’onere della prova con particolare riferimento all’onere della prova in punto di nesso di causalità.

In proposito si deve osservare che non vi è dubbio che la responsabilità sussistente tra il medico e la struttura nel quale lo stesso opera (in questo caso l’AUSL di I.) nei confronti del paziente è di natura contrattuale, in quanto derivante da contratto intervenuto tra il paziente e il medico convenuto per ottenere derivanti operazioni sanitarie. Infatti all’operatore sanitario non è richiesta un semplice “naeminem laedere” come sarebbe nel caso si debba riconoscere la sussistenza di una responsabilità extra contrattuale, ma anche l’attivarsi per un fare positivo che si estrinseca nell’esprimere la perizia al fine di curare e guarire attestata dal fatto di appartenere ad una professione protetta per l’esercizio della quale lo Stato richiede l’acquisizione di una speciale abilitazione.

Quanto all’oggetto della prestazione essa non può certamente essere il risultato, ma comprende l’adozione della massima diligenza in base al criterio previsto dall’art. 1176 comma 2° c.c., trattandosi di obbligazioni inerenti l’esercizio dell’attività professionale (cfr. Cass. civ. sez. 3 del 13 gennaio 2005 n. 583). Il punto sintetico di arrivo di tutta la l’elaborazione in materia di responsabilità professionale in generale e medica in particolare è il seguente: in tema di obbligazioni relative all’esercizio di un’attività professionale l’inadempimento del professionista alla propria obbligazione non può essere desunto ipso facto, dal mancato raggiungimento del risultato avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale ed, in particolare, del dovere della diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del tradizionale criterio della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176, secondo comma cod. civ., parametro da commisurarsi alla natura dell’attività esercitata.

Ne consegue che la responsabilità del medico per i danni causati al paziente postula la violazione dei doveri inerenti allo svolgimento della professione, tra i quali quello della diligenza (compresa in questa anche la perizia da intendersi come conoscenza ed attuazione delle regole tecniche proprie di una determinata arte o professione), che va a sua volta valutata con riguardo alla natura dell’attività e che, in rapporto alla natura dell’attività e che, in rapporto alla professione di medico chirurgo, implica scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione professionale.

Punto delicato è il canone della perizia richiesta al libero professionista. Infatti è presente nel nostro ordinamento l’art. 2236 c.c. che prevede “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave”. Lasciando perdere il problema del fatto doloso, che qui non rileva, l’elaborazione giurisprudenziale ha individuato l’ambito di applicazione di questa norma per i problemi di speciale difficoltà, limitatamente al canone di valutazione della perizia. In caso di negligenza od imprudenza (nella quale rientra anche il caso di chi affronta problematiche per le quali non è adeguatamente preparato – cfr. Cass. Civ. appena citata sopra) anche il fatto che si tratti di un problema di speciale difficoltà non rileva il fatto che l’imprudenza o la negligenza siano lievi. In caso di problemi di speciale difficoltà solo la lieve imperizia manda il responsabile esente da colpa.

La giurisprudenza ha anche chiarito in modo chiaro quale è l’onere della prova delle parti coinvolte in vicende del genere, spiegando quale è il significato dell’art. 2697 c.c. in questo tipo di fattispecie (cfr. Cass. civ. S.U. 13533/2001) spiegando che chi agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l’adempimento, deve dare solamente la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza relativa all’inadempimento, ovvero all’inesatto adempimento, della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo, costituito dall’avvenuto esatto adempimento. Pertanto, il paziente che agisce in giudizio deducendo l’inesatto inadempimento dell’obbligazione sanitaria, ha solamente l’onere di provare il contratto, oltre che il danno subito, anche con riguardo alle prestazioni sanitarie di difficile esecuzione. Resta invece sempre a carico del personale sanitario la prova che l’obbligazione sia stata eseguita in modo diligente. Resta a carico del sanitario anche la prova che della particolare difficoltà della prestazione.

Particolarmente problematica è la ripartizione dell’onere della prova circa la sussistenza del nesso di causalità fra i fatti colpevoli imputati al sanitario e alla struttura nella quale opera e il fatto.

(segue) L’onere della prova sulla sussistenza del nesso di causalità. Le ipotesi incerte e loro inquadramento nella fattispecie della perdita di chances.

Su questo punto, che come vedremo avrà un particolare rilievo in base ai risultati probatori raggiunti, si è recentemente espressa Cass. Civ. sez. 3 del 4 marzo 2004 n. 4400.

Si riportano, cercando di omettere i riferimenti alla situazione concreta in esame nella detta sentenza, le argomentazioni della Corte su questi temi che costituiscono il punto di arrivo dell’elaborazione giurisprudenziale in materia: riferisce la Corte che, posto che, in materia di responsabilità per colpa professionale, al criterio della certezza degli effetti della condotta si può sostituire, nella ricerca del nesso di causalità tra la condotta del professionista e l’evento dannoso, quello della probabilità di tali effetti e dell’idoneità della condotta a produrli, il rapporto causale sussiste anche quando l’opera del professionista, se correttamente e prontamente svolta, avrebbe avuto non già la certezza, bensì serie ed apprezzabili possibilità di successo (Cass. 6 febbraio 1998, n. 1286).

L’evoluzione giurisprudenziale in tema d’individuazione del nesso di causalità tra inadempimento della prestazione dedotta in  contratto e danno, pur con qualche non condivisibile ritorno alla “certezza morale” (Cass. 28 aprile 1994 n. 4044), o qualche esitazione tra “ragionevole certezza” e “ragionevole previsione” (Cass. 27 gennaio 1999 n. 722) evidenzia l’esigenza di superamento della concezione tradizionale: dal criterio della certezza degli effetti della condotta omessa a quello della probabilità di essi e dell’idoneità della stessa a produrli ove posta in essere; criterio per il quale il rapporto causale può e deve essere riconosciuto anche quando si possa fondatamente ritenere che l’adempimento dell’obbligazione, ove correttamente e tempestivamente intervenuto, avrebbe influito sulla situazione, connessa al rapporto, del creditore della prestazione in guisa che la realizzazione dell’interesse perseguito con il contratto si sarebbe presentata in termini non necessariamente d’assoluta certezza, ma anche solo di ragionevole probabilità, non essendo dato esprimere, in relazione ad un evento esterno già verificatosi, oppure ormai non più suscettibile di verificarsi, “certezze” di sorta, nemmeno di segno “morale”, ma solo semplici probabilità d’un eventuale diversa evoluzione della situazione stessa (criterio desumibile, con gli adattamenti logici resi necessari dalle diverse situazioni di fatto considerate, da Cass. 21 gennaio 2000 n. 632, Cass. 6 febbraio 1998 n. 1286, Cass. 18 aprile 1997 n. 3362, Cass. 5 giugno 1996 n. 5264, Cass. 11 novembre 1993 n. 11287).

In particolare e con riguardo alla sussistenza del nesso di causalità fra l’evento dannoso e la condotta colpevole (omissiva o commissiva) del medico, ove il ricorso alle nozioni di patologia medica e medicina legale non possa fornire un grado di certezza assoluta, la ricorrenza del suddetto rapporto di causalità non può essere esclusa in base al mero rilievo di margini di relatività, a fronte di un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, specie qualora manchi la prova della preesistenza, concomitanza o sopravvivenza di altri fattori determinanti (Cass. 21 gennaio 2000 n. 632).

Il ricorso al giudizio di probabilità si presenta poi, come una necessità logica, poiché si tratta di accettare o respingere l’assunto, secondo cui il danno si è verificato, perché non è stato tenuto il comportamento atteso.

Qui si tratta di stabilire se il comportamento mancato avrebbe evitato il danno e giudizi di certezza non possono essere formulati già in linea di principio.

Ciò che va specificato, applicando anche in questa sede civile risarcitoria, i principi già espressi in sede penale (Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002 n. 30328, Franzese), tenuto conto che il nesso di causalità materiale va determinato a norma degli artt. 40 e 41 c.p., è che non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi dell’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia escluso l’esistenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva o in ogni caso colpevole del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo, con elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica.

Tutto ciò opera nel caso in cui il soggetto creditore agisca per il risarcimento del danno costituito dal mancato raggiungimento del risultato sperato, allorché ciò sia conseguenza, sia pure in termini di probabilità concrete, dell’inadempimento della prestazione del medico, perché omessa, errata o ritardata.

Tuttavia in una situazione in cui è certo che il medico ha dato alla patologia sottopostagli una risposta errata o ritardata o in ogni caso inadeguata, è possibile affermare che, in presenza di fattori di rischio, detta carenza (che integra l’inadempimento della prestazione sanitaria) aggrava la possibilità che l’evento negativo si produca.

Non è possibile affermare che l’evento si sarebbe o meno verificato, ma si può dire che il paziente ha perso, per effetto di detto inadempimento, delle chances, che statisticamente aveva, anche tenuto conto della particolare situazione concreta.

Si omettono le ulteriori considerazioni svolte da questa sentenza circa la natura del risarcimento del danno per perdita di chance poiché non è questo in discussione in questo momento. Nel nostro caso sA.mo che l’opera del medico è stata la causa della dimenticanza della garza. Si discute solamente delle conseguenze provocate da questa.

Sul punto si rileva che il C.T.U. scrive che la patologia causata dalla garza dimenticata è un ascesso nella cavità addominale. L’ascesso – scrive il C.T.U. – ha un inizio con una fase infiammatoria dovuta al fatto che i germi patogeni dovuti al corpo estraneo superano le barriere difensive naturali quali le mucose o la pelle e determinano l’accorrere delle cellule di difesa che determinano la formazione di pus. Nel caso di specie la formazione infiammatoria è stata rinvenuta tra l’omento e la grande curvatura dello stomaco a livello del piloro con dimensioni di un mandarini circa.

Il C.T.U. evidenzia che il danno biologico permanente dovuto alla garza è di circa il 3 % (gli attori ritengono il 4 % ma tale considerazione non può essere accolta).

Quanto alle conseguenze temporanee scrive il C.T.U. che la massa era adesa allo stomaco proprio in prossimità del piloro che è lo sfintere attraverso il quale il contenuto dello stomaco ne esce per dirigersi verso l’intestino. Ritiene dunque il C.T.U. che assai improbabile che una massa putrescente delle dimensioni di un mandarino non provochi dolore. E infatti – riferisce il C.T.U. – vi sono a partire dal 27 luglio 2000 tutta una serie di esami come la duodenoscopia che sono determinati evidentemente da disturbi intestinali e gastrici che non sono spiegabili con la gastrite di cui soffriva il paziente anche prima. Ritiene il C.T.U. che il tempo di latenza di più di un anno sia compatibile con il processo di accrescimento dell’ascesso prima descritto e che evidentemente ha raggiunto un massimo intorno al luglio 2000.

Lo scrivente deve solo aggiungere che le indagini relative alla cavità gastrica e intestinale non appaiono giustificate dai problemi vascolari di cui pure soffriva il S. e che sono state pure trattate.

Si ritiene pertanto provata la sussistenza del nesso di causalità tra l’errore del medico dell’aprile 1999 e i tre mesi di malattia indicati dal C.T.U. a cavallo tra i mesi di luglio ed ottobre del 2000.

Quanto ai danni temporanei causati il C.T.U. ha evidenziato come oltre ai danni permanenti biologici del 3 %, determinati dal fatto che il sig. S. aveva una residuato una leggera algia alla palpazione nel luogo dove era l’ascesso, si concorda con il C.T.U. sulla sussistenza di trenta giorni di danno biologico nella misura del 100 %, trenta giorni di danno biologico del 75% per ulteriori 30 giorni e infine altri trenta giorni di danno biologico nella misura del 50 %. Il C.T.U. ha anche definito le spese mediche sostenute dal sig. S. in proprio nella misura di € 547,91 ritenute congrue.

Quanto alla quantificazione di questi danni e del danno morale, come è noto, con una serie di sentenze emesse nell’arco del 2003, la Corte di Cassazione ha rivoluzionato la sistemazione delle varie voci di danno risarcibili in caso di fatto illecito, con riferimento al danno biologico e al danno morale. Importanti sono le sentenze 7281/2003, 7282/2003 e 7283/2003 tutte depositate il 12 maggio 2003 con le quali è stato stabilita la possibilità di liquidare il danno non patrimoniale quando non fosse positivamente accertato un reato cosa che accadeva in modo particolare quando si ricorreva per il riconoscimento dell’illiceità del danno alle forme di responsabilità presuntiva come quelle di cui agli artt. 2050 e ss. c.c. Tale sentenze hanno permesso il mutamento di giurisprudenza successivo effettuato con sentenze 8827 e 8828 del 31 maggio 2003 che hanno ricondotto le tipologie di danno risarcibile a due: il danno patrimoniale e il danno non patrimoniale, eliminando le ipotesi di tertium genus che si erano andate moltiplicando dopo che in precedenza, come tale era stato riconosciuto il danno biologico (Cass. 184/86) la cui risarcibilità veniva fatta scendere direttamente dall’art. 2043 c.c. considerato come norma in bianco. Scrive ora la Corte, nella sentenza 8827/2003, che “l’art. 2059 c.c. nella parte in cui limita la risarcibilità del danno non patrimoniale ai soli casi previsti dalla legge, va interpretato in senso conforme alla Costituzione; ne consegue che, là dove l’atto illecito leda un interesse della persona di rango costituzionale, il risarcimento del danno da lesione di interessi non patrimoniale spetta in ogni caso, anche al di fuori dei limiti imposti dall’art. 2059 c.c. La liquidazione dei danni non patrimoniali (nei quali rientrano il danno biologico, il danno morale, il danno da lesione di interessi non patrimoniali costituzionalmente protetti), la quale può avvenire anche in modo unitario e complessivo, deve tuttavia evitare duplicazioni risarcitorie, e quindi va compiuta opportunamente riducendo l’importo del danno morale, quando della sofferenza psichica causata dall’illecito si sia debitamente tenuto conto nel liquidare il danno biologico o altri danni non patrimoniali.

Conseguentemente si può continuare a mantenere la distinzione tra danno biologico e danno morale pur tenendo conto che fanno parte di un unico danno non patrimoniale che può essere pure liquidato complessivamente e nell’ambito del quale la valutazione dell’uno influisce indubbiamente in quella dell’altro.

 Ciò premesso, per la liquidazione dei danni si fa riferimento alle tabelle del Tribunale di Bologna recentemente pubblicate dal Guida al Diritto dossier mensile n. 6 del 2005 pag. 81 e ss.

Per un soggetto di anni 65 al momento del manifestarsi della malattia (luglio – ottobre 2000) il danno biologico permanente nella misura del 3% comporta un valore del punto di € 105,13. Il coefficiente relativo all’età di una persona di 65 anni è di 8,638. L’ammontare di questo danno biologico (al quale non si applicano i criteri di liquidazione delle micropermanenti di cui alla legge 57/2001 art. 5 applicabili solo ai sinistri stradali) ammonta a € 2724,34. Quanto al danno biologico temporaneo si devono liquidare € 42,08 per ogni giorno d’inabilità totale, € 31,56 per ogni giorno d’invalidità al 75 % ed € 21,04 per ogni giorno d’invalidità al 50 %. Il danno biologico da invalidità temporanea ammonta pertanto ad € 2840,40. Il danno morale deve essere riconosciuto nella misura di un terzo del danno biologico complessivo e pertanto in € 1854,91. A questa somma si aggiunge la somma di € 547,91 per spese mediche documentate.

In totale la somma dovuta per risarcimento del danno ammonta ad €. 7419,65.

Trattandosi di eredi la somma è dovuta pro quota ai sensi dell’art. 1295 c.c.

Tutte le somme dette, tranne quelle relative alle spese mediche, sono determinate al valore attuale della moneta.

Dunque, per il danno non patrimoniale, per il calcolo degli interessi dovuti per il danno da ritardo (nella misura legale pro tempore vigente) occorre applicare il criterio di cui alla nota sentenza Cass. civ. S.U. 17 febbraio 1995 n. 1712, secondo il quale gli interessi sui debiti di valore vanno calcolati sulla somma corrispondente al valore della somma al momento dell’illecito, via via rivalutata anno per anno sulla base degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. In applicazione di tale criterio al fine del calcolo degli interessi la somma come sopra determinata deve essere previamente devalutata in base ai detti indici e sulla stessa, progressivamente rivalutata di anno in anno devono calcolarsi gli interessi al tasso legale. Ciò fino alla data della sentenza.

Da quel momento in poi fino al saldo effettivo sono dovute su tutte le somme, danno liquidato e somma ottenuta dal calcolo degli interessi, gli interessi legali fino al saldo effettivo.

Invece sul danno per le spese mediche trattandosi comunque di danno di valuta, vanno applicati gli interessi legali nella misura vigente sulla somme appositamente liquidata, senza alcuna devalutazione.

Compensazione delle spese di causa.

Come si vede la somma liquidata è del tutto comparabile a quella già offerta per ottenere la transazione nell’agosto 2001 e cioè € 7230,40 (£. 14.000.000).

Gli attori hanno ottenuto in più poco meno di 200 euro e una interessi e rivalutazione che avrebbero ottenuto ugualmente impiegando opportunamente i soldi dall’agosto 2001. Non pare davvero che tale risultato fosse meritevole di una così lunga causa che ha comportato per tutti notevoli esborsi per spese legali e consulenti.

Conseguentemente ai sensi dell’art. 92 comma 2° c.p.c. si ritiene di dovere integralmente compensare le spese di causa.

Le spese di C.T.U. rimangono a carico degli attori.

P.Q.M.

Il Tribunale di Bologna, sezione distaccata di Imola, in persona del dott. Sandro Pecorella, definitivamente pronunciando nella causa (n.r. 20882/2001) tra

S. P. e T. A. nella qualità di eredi di S. E. (avv. P. Di C.)

contro

P. P. e AUSL di I. (avv. G. G.)

avente per oggetto: condanna al risarcimento del danno derivante da colpa medica.

ogni diversa istanza disattesa e respinta

dichiara che l’errore medico causato da P. P. e AUSL di I. ha provocato a S. E. un danno biologico permanente nella misura del 3%, 30 giorni di invalidità temporanea totale, 30 giorni d’invalidità temporanea al 75 % e 30 giorni d’invalidità temporanea al 50 %, oltre ad un esborso per spese mediche di € 547,91;

condanna per l’effetto P. P. e AUSL di I. a pagare, in solido fra loro e pro quota a favore di S. P. e T. E., quali eredi di S. E., la complessiva somma di € 7419,65, comprensiva di danno biologico totale, danno morale e spese mediche;

condanna P. P. e AUSL di I. a pagare sulle somme sopra liquidate gli interessi legali, ad eccezione di quelle mediche, calcolati sul valore che sarebbe stato liquidato il 20 luglio 2000, giorno di manifestazione della malattia, (valore da calcolare devalutando le somme sopra dette dalla data odierna fino al giorno della data di manifestazione della malattia secondo l’indice ISTAT), rivalutata di anno in anno dalla data medesima fino alla data della presente ordinanza, oltre gli ulteriori interessi legali su tutte le somme dalla data della presente sentenza fino al pagamento effettivo;

condanna P. P. e AUSL di I. a pagare sulla somma liquidata a titolo di spese mediche (€ 547,91) gli interessi legali dalla data del loro pagamento da parte del S. fino al saldo effettivo.

compensa integralmente le spese di lite sostenute dalle parti, ponendo definitivamente a carico degli attori le spese di C.T.U.

Imola, 8 luglio 2005.

Il giudice