Sentenze

Sentenze

Azione di adempimento di obbligazione pecuniaria e azione di risarcimento del danno da fatto illecito-assegno non pagato per lavori-condanna il convenuto a pagare la somma e gli interessi legali pro tempore sino al saldo effettivo e due terzi delle s

29 marzo 2016

Azione di adempimento di obbligazione pecuniaria e azione di risarcimento del danno da fatto illecito- assegno non pagato per lavori- condanna il convenuto a pagare la somma e gli interessi legali pro tempore sino al saldo effettivo e due terzi delle spese di lite.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Bologna, sezione distaccata di Imola, in persona del dottor Sandro Pecorella ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 20353/2003 di R.G. degli affari contenziosi civili, posta in decisione all’udienza del 5 dicembre 2005 in seguito alla precisazione delle conclusione e alla concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, promossa da R. N., rappresentato e difeso per mandato in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore dagli avv. N. M. e V. M. domiciliato in I. via P. P. 4.

 Attore

contro

A. F.Convenuto

avente per oggetto: azione di adempimento di obbligazione pecuniaria e azione di risarcimento del danno da fatto illecito.Conclusioni per l’attore

Voglia l’Ecc.mo giudice adito,

premessa ogni più ampia declaratoria del caso, respinta ogni eccezione, domanda e richiesta di controparte, accogliere le seguenti conclusioni:

accertare e dichiarare per i fatti descritti la responsabilità del sig. A. F. per i fatti di cui in premessa e quindi dichiararlo tenuto al risarcimento dei danni tutti ex art. 2043 c.c. e 2059 subiti dall’attore;

per l’effetto condannare il medesimo sig. A. F. al risarcimento dei danni tutti, biologici, morali, esistenziali e spese patiti dall’attore per i fatti per cui è causa nella misura di € 20.000,00 ovvero quella maggiore o minore di giustizia;

ritenere e dichiarare tenuto e quindi condannare il sig. A. F. al pagamento della somma di € 2341,62 portata da assegno n. 0411299097-01 in favore di N. R., ovvero quella maggiore o minore di giustizia, il tutto entro e non oltre la concorrenza della somma di € 24.000,00.

Con vittoria di spese, competenze ed onorari.Conclusioni per il convenuto

(comparsa di costituzione e risposta):

Voglia l’Ill.mo sig. Tribunale adito:

in via principale: rigettare le richieste ex adverso avanzate.

Con vittoria di spese competenze ed onorari di giudizio.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato il sig. N. R. citava in giudizio il sig. F. A.. Riferiva che il sig. A. lo aveva falsamente querelato per il reato di appropriazione indebita di assegno da lui emesso. Infatti il sig. R. aveva effettuato un prestito a tale sig. S. S. per il quale il sig. A. aveva prestato garanzia nella forma della consegna di un assegno a sua firma dell’importo di £. 4.534.000 pari ad € 2.341,62. Il sig. A. riferiva in querela che il sig. S. gli aveva dichiarato di avere pagato il suo debito effettuando lavori nella casa del R.. Conseguentemente il sig. R., ponendo all’incasso l’assegno aveva commesso il delitto per cui è processo essendosene appropriato. Ne conseguiva un processo penale dal quale il sig. R. veniva assolto con formula amplissima, il sig. A. veniva condannato a pagare le spese processuali in favore dell’erario e il Giudice disponeva la trasmissione degli atti al P.M. per le valutazioni del caso circa la responsabilità penale dell’A..

Chiedeva il risarcimento dei danni per il fatto illecito subito, come meglio dettagliato nelle riportate conclusioni e il pagamento della somma portata nell’assegno.

Inizialmente il sig. A. rimaneva contumace.

Si costituiva soltanto in sede di udienza ex art. 183 c.p.c. e la contumacia veniva revocata.

Nella comparsa di costituzione il sig. A. ribadiva che il sig. S. gli aveva assicurato di avere estinto il proprio debito eseguendo una prestazione d’opera. Negava pertanto di dovere alcunché e negava ogni sua responsabilità per il procedimento penale subito da sig. R.. Chiedeva il rigetto delle pretese avversarie.

Il giudice ammetteva come prova solo la sentenza che ha definito il processo penale e gli atti probatori assunti nel suo ambito negando l’istanza di sentire nuovamente il teste S. sentito nel corso di quel processo.

Dopo un rinvio ex art. 309 c.p.c. venivano precisate le conclusioni in assenza del procuratore di parte convenuta che non presenziava. Concessi i termini di cui all’art. 190 c.p.c. la causa è stata trattenuta in decisione e sono state depositate comparse conclusionali. Le parti hanno concordato una posticipazione dei termini per il deposito delle repliche che sono state depositate tre giorni dopo la scadenza del relativo termine.

Motivi della decisione

Preliminarmente si deve dire che stante il principio di libertà delle fonti di prova accolte nel nostro ordinamento ben può il giudice civile porre a fondamento della propria decisione i verbali di prova e la sentenza che ha definito il processo penale.

Si deve solo precisare che la sentenza che ha definito il processo penale 19924/99 R.G.N.R., la sentenza n. 76/2002 del 20 marzo 2002 irrevocabile il 19 luglio 2002, fa stato nel presente processo ai sensi dell’art. 652 c.p.p. poiché come si legge dal decreto di citazione a giudizio prodotto dall’attore il sig. A. è stato correttamente indicato come persona offesa e dunque è stato posto in condizione di costituirsi parte civile e non risulta che lo stesso abbia svolto azione civile in sede civile. Dunque il presupposto dell’art. 652 c.p.p. è pienamente avverato e la sentenza penale nel presente processo ha gli effetti di cui all’art. 652 citato a seconda della formula assolutoria: il sig. R. non ha commesso il fatto per cui è stato processato.

In ogni caso la sentenza potrebbe comunque contribuire a formare il convincimento del giudice stante il predetto principio di libero convincimento anche nel caso non facesse stato ai sensi dell’art. 652 c.p.p. e anche nel caso non fosse irrevocabile cosa che non è nel presente processo. Lo stesso si deve dire dei verbali di prova. Il valore di queste prove è quello di cui all’art. 2729 c.c. Il codice di rito di fatto equipara tali mezzi di prova alle testimonianze e pertanto non formando esse prove legali le modalità con cui il contenuto delle prove entra nel procedimento civile è indifferente e non si deve necessariamente sentire nuovamente nel processo civile chi è già stato sentito nel processo penale a meno che non emergano necessità che indichino una necessità di risentirlo che nel caso concreto non ci sono non essendo stati evidenziati punti inesplorati nell’istruttoria penale che, rilevanti per l’esito del giudizio civile, debbano essere approfondite. Si rileva che il Giudice Istruttore nel processo civile ha il potere datogli dall’art. 209 c.p.c. di dichiarare chiusa l’assunzione dei mezzi istruttori anche nel caso che egli reputi superflui per i risultati già raggiunti l’ulteriore assunzione e questo potere non può non riverberare anche nella fase preventiva dell’assunzione delle prove.

Dato atto di quanto sopra, tenuto fermo che la sentenza penale fa stato nel processo civile nel senso che consente di affermare come accertato che il sig. R. non ha commesso il delitto di appropriazione indebita del quale era stato accusato, si osserva che dall’esame della sentenza e dei verbali di causa penale si desume come il sig. A. sia stato smentito dal sig. S. circa il pagamento del debito. Infatti il sig. S. ha riferito come il debito da lui contratto e certamente maggiore di quello portato nell’assegno non sia mai stato pagato. I lavori sono stati effettuati, ma il S. ha riferito che non avevano relazione con il debito, erano stati fatti a titolo di favore e non sono neppure stati fatti in modo completo. Il sig. A. nel processo penale ha anche avuto un atteggiamento ambiguo che lo ha portato in un primo momento ad evidenziare problemi di falsità di quanto riportato nell’assegno che in questo primo momento non sarebbe stato compilato da lui Solo dopo la prospettazione di una perizia grafica ha ammesso che la compilazione dell’assegno era sua. Il balletto messo in scena dal sig. A. circa la riferibilità della calligrafia a lui è bene descritto a pag. 9 della sentenza penale e non si può non convenire con quel giudice che ha ritenuto come la deposizione resa dall’A. non reggeva in nessun modo.

Dunque rilevato che da quella denuncia è scaturito un sequestro dell’assegno che ha consentito al sig. A. di non dovere pagare l’assegno stesso è evidente che la falsa denuncia è stata fatta proprio per quello scopo. Non vi è dubbio pertanto che il sig. A. abbia prima calunniato il sig. R. e poi abbia anche commesso il reato di falsa testimonianza.

Ne discende che anche l’importo dell’assegno è ancora dovuto dal sig. A. al sig. R.. Infatti il fatto che sia stato utilizzato un assegno non datato non ha più alcuna rilevanza se non fiscale essendo lo stesso assegno utilizzato come una cambiale a vista con applicazione però della minore imposta di bollo dovuta sugli assegni. Per il resto è talmente pacifica l’esistenza di una garanzia del sig. A. in favore del S. per un debito da questo contratto con il R. che quando il sig. A. pagherà la somma dovuta sorgerà un credito dell’A. verso il S. per la somma corrispondente al pagamento effettuato a causa dell’assegno. Si tratta certamente di una garanzia atipica, ma che appare possibile in base all’art.1322 c.c.

Dunque il sig. A. deve essere condannato a pagare la somma di € 2341,62, corrispondente in moneta attuale a quella portata nell’assegno che così callidamente il sig. A. ha evitato di pagare a suo tempo. Ne consegue anche il pagamento degli interessi legali pro tempore vigenti. Tuttavia, non essendo provato il tempo in cui l’assegno è stato posto all’incasso e non potendosi pertanto applicare i criteri che permettono di dire che vi è mora in re ipsa (vedi art. 1219 comma 2° c.c.), gli interessi decorrono dalla data di notifica dell’atto di citazione che ha chiesto tra l’altro il pagamento della somma portata nell’assegno e pertanto dal 20 settembre 2003 (cfr. avviso di ricevimento) fino al saldo effettivo. Questo infatti è il primo atto conosciuto dal quale si desume la messa in mora ai sensi dell’art. 1219 comma 1° c.c.

Dato atto di ciò è assolutamente evidente che il sig. R. deve essere risarcito per il danno subito per avere subito un processo calunnioso ed essere stato oggetto nell’ambito dello stesso di falsa testimonianza.

Il fatto è chiaramente inquadrabile ai sensi dell’art. 2043 c.c. e dunque il sig. A. deve risarcire il danno subito dal R.. Questo consiste certamente in un danno emergente patrimoniale dovuto agli esborsi per la difesa nel giudizio penale. Infatti non vi è stata possibilità di chiedere il pagamento di tali spese nel processo penale stesso atteso che il sig. A. non si è costituito parte civile. Tuttavia il sig. R. non ha chiesto il pagamento di tale credito e dunque nulla gli deve essere dato per questa voce.

Rimangono il danno biologico, il danno esistenziale e il danno morale richiesti dall’attore.

Come è noto la materia del danno non patrimoniale è stato risistemato, con una serie di sentenze emesse nell’arco del 2003. La Corte di Cassazione ha rivoluzionato la sistemazione delle varie voci di danno risarcibili in caso di fatto illecito, con riferimento al danno biologico e al danno morale. Importanti sono le sentenze 7281/2003, 7282/2003 e 7283/2003 tutte depositate il 12 maggio 2003 con le quali è stato stabilita la possibilità di liquidare il danno non patrimoniale quando non fosse positivamente accertato un reato cosa che accadeva in modo particolare quando si ricorreva per il riconoscimento dell’illiceità del danno alle forme di responsabilità presuntiva come quelle di cui agli artt. 2050 e ss. c.c. Tale sentenze hanno permesso il mutamento di giurisprudenza successivo effettuato con sentenze 8827 e 8828 del 31 maggio 2003 che hanno ricondotto le tipologie di danno risarcibile a due: il danno patrimoniale e il danno non patrimoniale, eliminando le ipotesi di tertium genus che si erano andate moltiplicando dopo che in precedenza, come tale era stato riconosciuto il danno biologico (Cass. 184/86) la cui risarcibilità veniva fatta scendere direttamente dall’art. 2043 c.c. considerato come norma in bianco. Scrive ora la Corte, nella sentenza 8827/2003, che "l’art. 2059 c.c. nella parte in cui limita la risarcibilità del danno non patrimoniale ai soli casi previsti dalla legge, va interpretato in senso conforme alla Costituzione; ne consegue che, là dove l’atto illecito leda un interesse della persona di rango costituzionale, il risarcimento del danno da lesione di interessi non patrimoniale spetta in ogni caso, anche al di fuori dei limiti imposti dall’art. 2059 c.c. La liquidazione dei danni non patrimoniali (nei quali rientrano il danno biologico, il danno morale, il danno da lesione di interessi non patrimoniali costituzionalmente protetti), la quale può avvenire anche in modo unitario e complessivo, deve tuttavia evitare duplicazioni risarcitorie, e quindi va compiuta opportunamente riducendo l’importo del danno morale, quando della sofferenza psichica causata dall’illecito si sia debitamente tenuto conto nel liquidare il danno biologico o altri danni non patrimoniali.

Conseguentemente si può continuare a mantenere la distinzione tra danno biologico e danno morale pur tenendo conto che fanno parte di un unico danno non patrimoniale che può essere pure liquidato complessivamente e nell’ambito del quale la valutazione dell’uno influisce indubbiamente in quella dell’altro.

Il danno esistenziale deve trovare anch’esso una sistemazione nell’ambito del danno morale e pertanto la liquidazione dello stesso deve essere svolto nell’ambito di questo

Non vi è dubbio che chi subisce un ingiusto processo per un fatto costituente reato possa provocare un danno morale e anche un danno biologico. Il problema, in particolare per il danno biologico è la prova della sua effettiva esistenza. Non è neppure necessario che il giudice civile debba attendere le determinazioni del giudice penale circa la sussistenza del reato potendo il giudice civile dare un giudizio incidentale su questo punto con effetto limitato all’accertamento civile.

Tuttavia il sig. R. non da nessuna prova concreta della sussistenza di un danno biologico. Il danno biologico che si estrinseca ad un danno alla salute non è provato in nessun modo. Non vi è nessuna indicazione in atti dal quale si desuma che il sig. R. a causa del processo abbia subito una qualsivoglia malattia. La richiesta C.T.U. medico legale è del tutto esplorativa e potrebbe solo prendere coscienza dell’eventuale esistenza di patologie a carico del R. senza peraltro poterle mettere in relazione con il processo.

Invece sussiste certamente un danno morale avendo tra l’altro il sig. A. commesso un reato nei confronti del sig. R. e dunque sussistendo anche i requisiti per la liquidazione di danno morale in base alla vecchia interpretazione dell’art. 2059 c.c.

Quanto alla valutazione della quantificazione del danno le pretese del sig. R. devono essere considerevolmente ridotte. Infatti emerge dagli atti del processo penale che il sig. R. è aduso a concedere prestiti e che ha subito altri processi. Dunque il fatto di subire processi è comunque una cosa al quale il R. è abituato. Dunque dovendosi procedere a valutazione equitativa ai sensi dell’art. 2056 c.c. il quale rimanda all’art. 1226 c.c. si ritiene che tale danno morale non possa essere superiore ad € 2000,00.

Si tratta di somma determinata al valore attuale della moneta. Dunque, per il danno non patrimoniale, per il calcolo degli interessi dovuti per il danno da ritardo (nella misura legale pro tempore vigente) occorre applicare il criterio di cui alla nota sentenza Cass. civ. S.U. 17 febbraio 1995 n. 1712, secondo il quale gli interessi sui debiti di valore vanno calcolati sulla somma corrispondente al valore della somma al momento dell’illecito (da individuarsi in questo caso nella data nella quale è stata esposta la querela, via via rivalutata anno per anno sulla base degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. In applicazione di tale criterio al fine del calcolo degli interessi la somma come sopra determinata deve essere previamente devalutata in base ai detti indici e sulla stessa, progressivamente rivalutata di anno in anno, devono calcolarsi gli interessi al tasso legale. Ciò fino alla data della sentenza. Da quel momento in poi fino al saldo effettivo sono dovute su tutte le somme, danno liquidato e somma ottenuta dal calcolo degli interessi, gli interessi legali fino al saldo effettivo.

Il sig. A. deve essere condannato a pagare le spese di causa in favore del sig. R. con liquidazione effettuata come da dispositivo.

In considerazione della limitazione delle somme liquidate rispetto alle richieste si dispone la compensazione di un terzo delle spese di causa.

P.Q.M.

Il Tribunale di Bologna, sezione distaccata di Imola, in persona del dott. Sandro Pecorella, definitivamente pronunciando nella causa (n.r. 20353/2003) traR. N.

controA. F.

avente per oggetto: azione di adempimento di obbligazione pecuniaria e azione di risarcimento del danno da fatto illecito.

ogni diversa istanza disattesa e respinta

condanna A. F. a pagare in favore di R. N. la somma di €. 2341,62 oltre interessi nella misura legale pro tempore vigente dal 20 settembre 2003 fino al saldo effettivo;

condanna A. F. a pagare in favore di R. N. a titolo di danno non patrimoniale la somma di € 2000,00 oltre al pagamento sulla medesima somma, gli interessi legali, calcolati sul valore che sarebbe stato liquidato dalla data della querela sporta dal sig. A. (valore da calcolare devalutando le somme sopra dette dalla data odierna fino al giorno della querela secondo l’indice ISTAT), rivalutata di anno in anno dalla data della querela fino alla data della presente sentenza oltre gli ulteriori interessi legali su tutte le somme dalla data della presente sentenza fino al pagamento effettivo;

liquida le spese di causa in favore di N. R. nella complessiva misura di € 1451,00 di cui € 281,00 per competenze ed € 1170,00 quali onorari, oltre 12,5 % quali spese generali ed oltre IVA e CPA come per legge;condanna A. F. a pagare in favore di N. R., i due terzi delle spese di lite sopra liquidate dichiarando compensate tra le parti il restante terzo.

Sentenza esecutiva per legge.

Imola, 13 aprile 2006.

Il giudice