Sentenze

Sentenze

Assunzione di lavoratore clandestino-artt. 81 c.p.,442,533 e 535 c.p.p.-condanna il datore di lavoro a sei mesi di reclusione,multa e al pagamento spese processuali-converte la pena detentiva in libertà controllata per un anno artt. 53,57 e 58 L.689

29 marzo 2016

Assunzione di lavoratore clandestino-artt. 81 c.p.,442,533 e 535 c.p.p.-condanna il datore di lavoro a sei mesi di reclusione,multa e al pagamento spese processuali-converte la pena detentiva in libertà controllata per un anno artt. 53,57 e 58 L.689/81.

Motivazione

Con decreto di citazione diretta del P.M., emesso il 19 novembre 2007, il sig. S. L. è stato tratto a giudizio per rispondere del delitto e della contravvenzione in imputazione indicata.

Il sig. S., presente all’udienza, con l’ausilio del Difensore ha chiesto procedersi con rito abbreviato e ha chiesto di essere interrogato.

Ammesso il rito, all’udienza odierna si è proceduto all’interrogatorio e nel corso di questo il sig. S. ha riferito di avere una volta sola chiesto l’ausilio del sig. S. M., tramite il di lui fratello, non sapendo che fosse irregolare e non per lavorare veramente alle sue dipendenze, ma per un aiuto di poche ore per lavori che non era in grado di fare da solo, dato il peso del materiale da spostare. Ha riferito di avergli dato come compenso una somma di € 50,00. Ha detto che il sig. S. ha riferito quanto risulta dal verbale di S.I.T. del 6 dicembre 2006 per ottenere il permesso di soggiorno, ma che ha mentito, non essendo vero che lavorava per lui. Ha riferito di lavorare sempre da solo perché altrimenti non sarebbe in grado di fare prezzi concorrenziali. Non sapeva il sig. S. che fosse clandestino.

Il presente procedimento nasce in seguito all’arresto dei sigg.ri S. K. e S. M. per il delitto di cui all’art. 14 comma 5 ter D.Lv. 286/98 per avere contravvenuto all’ordine di allontanamento del questore emesso in seguito a decreto di espulsione essendo i due privi di permesso di soggiorno. Nel corso dell’udienza di convalida il sig. S. M. diceva di lavorare per conto dell’odierno imputato e mostrava biglietto da visita che veniva acquisito agli atti. In seguito a ciò seguiva trasmissione degli atti a carico del sig. S. e, il 6 dicembre 2006, il sig. S. M. rendeva dichiarazioni per meglio precisare le dichiarazioni anticipate all’udienza di convalida.

Nel corso di queste dichiarazioni il sig. S., riferiva di essere entrato nel territorio italiano attraverso la frontiera di L. nell’ottobre 2005. Veniva condotto al C.T.P. di B. e dopo tre giorni fuggiva per raggiungere I., dove risiede il fratello.

Avendo bisogno di lavorare riferiva di avere contattato tramite un cugino, dotato di permesso di soggiorno, il sig. S. che di fatto lo ha fatto lavorare, pattuendo un compenso di sei euro all’ora.

Ha riferito di avere lavorato per lui dal 18 maggio 2006 al 9 agosto 2006 in una villa sita in località M. che è erroneamente indicata sussistere nel comune di S. L..

Il sig. S. ha dato però indicazioni circa la descrizione della villa e in data 11 febbraio 2007 (vedi annotazione di servizio) il medesimo è stato accompagnato in P., dove esiste la località M., ed ha riconosciuto la villa appunto in località M. al civico 9. La villa ha anche un ingresso al civico 13 dal quale però il sig. S. ha riferito di non essere mai entrato. Il sig. S. ha anche riferito di avere lavorato in I., via D’A. 20 dal 4 settembre 2006 all’8 settembre 2006 in un garage di proprietà di tale sig. D’A..

Il fatto che il sig. S. abbia lavorato in queste due località ha trovato conferma.

Per quanto riguarda il lavoro i., ciò è confermato dal sig. D’A. A. (S.I.T. del 19 dicembre 2006), proprietario della casa di via D’A. 20 di I. che però ha riferito di non avere pagato nulla al sig. S. perché sono amici. Questi ha ricordato di averlo visto arrivare una volta con una persona che non conosceva per caricare un mezzo.

Per quanto riguarda la villa di M., il fatto è pure confermato dalla sig.ra C. M. abitante in via M. 13 (verbale di S.I.T. del 16 febbraio 2007) che ha riferito anche lei di averlo visto una volta con una persona che lo aiutava. 

Il fatto dell’effettuazione dei lavori è pure confermato dal sig. Z. G. (S.I.T. del 16 febbraio 2007) e dalla sig.ra Z. G. (verbale di S.I.T. del 24 febbraio 2007). Questa anche lei ha ricordato di aver visto il sig. S. aiutato da una persona, ma ciò nell’ottobre 2006 (fuori dal periodo di possibile commissione del reato per cui è processo) e che probabilmente la persona era italiana.

La durata del rapporto di lavoro con il sig. S. da parte di del sig. S. è pure confermato dal sig. G. I. che pur non conoscendo il nome del sig. S. lo ha visto prelevare ogni mattina verso le ore 8,15 dal bar P. di I. il sig. S. M. e il cugino di questi, sig. S. Z.. Ha riferito che il soggetto che li prelevava verso il 20 di ottobre era al bar P. e lo ha sentito dire che il sig. S. M. lo aveva denunciato.

Da questo fatto si desume che la persona indicata da questo teste altri non è che il sig. S., dato che questi è la persona denunciata dal sig. S. M..

Pertanto, dato la verità degli espletati lavori da parte del sig. S. nelle case indicate, l’unica cosa sulla quale la versione del sig. S. M. non trova riscontro è la vicenda della mancia di € 50,00 che secondo il sig. S. gli fu data dalla proprietaria della villa di M. all’insaputa del sig. S., dove invece il sig. S. dice di avergliela data lui e la sig.ra C. nega di avergliela data. Fatto sta che una mancia di € 50,00 è vero che è stata data.

Ritiene pertanto che le dichiarazioni siano credibili anche se è vero che in seguito a ciò il P.M. ha reso parere favorevole alla concessione di permesso di soggiorno in favore del sig. S. M.  per motivi di giustizia in data 18 gennaio 2007 a conferma del fatto che vi è certo un interesse nel rendere le dichiarazioni accusatorie. Tuttavia, le dichiarazioni accusatorie appaiono praticamente tutte confermate e questo anche in riferimento all’interrogatorio odierno reso dal sig. S. che ha ammesso di essersi una volta sola avvalso del sig. S.. Questo fatto consente di ritenere che le dichiarazioni del sig. S. siano vere anche in presenza del detto interesse a renderle.

Preso atto di ciò, ritiene il giudice che si debba ritenere veritiero anche il fatto che il sig. S. promise al sig. S. M. un compenso di € 6,00 all’ora e che in seguito alla fine del lavoro gli diede invece la somma complessiva, tenuto conto degli acconti, di circa € 1400,00 pari a circa € 4,00 all’ora, con decurtazione ulteriore, non pattuita, rispetto alla somma già bassa prospettata in origine.

Ritiene pertanto il giudice che il fatto commesso dal sig. S. integri senz’altro la fattispecie di delitto di cui all’art. 12 comma 5° D.Lv. 286/98. Infatti emerge, oltre che dal racconto del sig. S., anche dal racconto del sig. S. che egli non chiese neppure di sapere se egli fosse clandestino o meno, ma la evidente nazionalità straniera del sig. S. (che non parlava, almeno nella seconda metà del 2006, l’italiano in modo decente dato che è sempre stato sentito con l’ausilio di interprete) nonché la medesima somma indicata come paga, sono elementi che fanno ritenere con certezza che il sig. S. contava su una possibile clandestinità proprio per pattuire simili pattuizioni retributive in modo tale da perseguire il fine di profittare di tale condizione.

Ritiene lo scrivente che il fatto di ritenere necessario al fine della prova della conoscenza dello stato di clandestinità richiesto dalla norma in questione il fatto che tale stato sia stato oggetto di esplicita indicazione corrisponda a privare di pratica rilevanza pratica l’imputazione in questione. Invece, ritiene lo scrivente, che la conoscenza dello stato di clandestinità che si desume dalla norma in norma in esame si desuma dal fatto che vengano pattuite condizioni retributive come quelle descritte dal sig. S. che sono assolutamente incongrue rispetto ai parametri retributivi ordinari, proprio perché simili condizioni retributive non sono spiegabili che con lo stato di assoggettamento dovuto alla condizioni di clandestino, che priva il soggetto sfruttato della possibilità di lavorare regolarmente. Dunque, ritiene lo scrivente che sia sufficiente la prova della pattuizione di infime condizioni contrattuali per ritenere provato il dolo specifico richiesto dalla norma, in esame.

Per il resto, le medesime dichiarazioni del sig. S., rendono evidente che le somme percepite dal sig. S. hanno dato modo in qualche modo al sig. S. di vivere in Italia e con ciò il comportamento del sig. S. ha certamente favorito la permanenza del sig. S. nel territorio nazionale, integrando così l’altra parte dell’elemento oggettivo della norma.

Preso atto di ciò il sig. S. è colpevole della fattispecie delittuosa indicata nel capo a).

Il fatto configura pure la contravvenzione di cui all’art. 22 comma 12 D.Lv. 286/98 contestato sub B) dell’imputazione. Infatti sussiste l’elemento oggettivo dell’assunzione di lavoratore clandestino e l’elemento del dolo evidenziato dai comportamenti sopra descritti.

La giurisprudenza della Cassazione (vedi Cass. Pen. sez. 1 dell’8 aprile 2003 depositata il 28 maggio 2003 n. 23438/2003 più volte ribadita anche in seguito) ha chiarito che tra i due reati non vi è rapporto di specialità data la differente funzione dei due reati, diretto quello contravvenzionale a combattere il fenomeno della immigrazione clandestina punendo l’assunzione di lavoratori senza permesso di soggiorno e il delitto punendo chi favorisce la permanenza nel territorio nello stato di persone clandestine traendo comunque ingiusto profitto dalla loro condizione, cosa che per altro può essere fatta anche al di fuori di un rapporto di lavoro (per esempio pattuendo un contratto di locazione con affitto giugulatorio).

Ne consegue che il sig. S. è colpevole di tutti e due i reati a lui ascritti.

I precedente del sig. S., anche se non specifici, sono sufficienti per la non concessione delle attenuanti generiche.

I due reati sono evidentemente commessi in concorso formale tra di loro perché effettuati con i medesimi comportamenti.

Conseguentemente si deve applicare l’art. 81 c.p. e a tal fine il delitto è certamente più grave della contravvenzione.

In applicazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p. si ritiene di dovere  punire il sig. S. con la pena di mesi nove di reclusione ed € 3000,00 di multa (pena base per il delitto mesi otto di reclusione ed € 2500,00 di multa aumentate ex art. 81 c.p. fino alla pena finale per il concorso formale con la contravvenzione).

In considerazione della diminuente del rito si irroga la pena effettiva di mesi sei di reclusione ed € 2000,00 di multa.

Si ritiene che la pena detentiva debba essere sostituita con pena sostituiva, essendo una pena simile più utile al fine di reinserimento sociale rispetto alla pena detentiva. Essendo già stata applicata in passato pena pecuniaria che non ha sortito l’effetto di impedire la ricaduta nel reato (vedi prima sentenza nel certificato penale), si ritiene di dovere applicare la pena della libertà controllata che per il ragguaglio di cui all’art. 57 L. 689/81 si determina nella misura di anni uno.

I precedenti del sig. S. indicano che non è possibile svolgere un giudizio prognostico favorevole circa la successiva non ricaduta nel reato e pertanto ai sensi dell’art. 163 c.p. è impossibile applicare la sospensione condizionale della pena.

I fatti sono terminati, come si legge dalle dichiarazioni del sig. S. del 6 dicembre 2006 nel corso del settembre 2006 e pertanto i fatti non ricadono nell’ambito dell’indulto di cui all’art. 1 L. 241/2006.

Il sig. S. è inoltre condannato al pagamento delle spese processuali sostenute dall’erario.

P. Q. M.

Visti gli artt. rubricati, 81 c.p.,  442, 533, 535  c.p.p.;

dichiara S. L. colpevole dei reati a lui ascritti commessi in concorso formale tra di loro e ritenuto più grave il delitto, considerata la diminuente del rito, lo condanna alla pena di mesi sei di reclusione ed €. 2000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Visti gli artt. 53, 57 e 58 L. 689/81 converte la pena detentiva in libertà controllata per la durata di anni uno.

Imola, 22 aprile 2008.

Il Giudice