Sentenze

Sentenze

Assunzione clandestino-artt.62 bis c.p.,442,533,535, L. 125/2008 c.p.p.-condanna il datore a due mesi di arresto e ammenda-artt. 53,57 e 58 L. 689/81 converte pena detentiva in pecuniaria –artt. 1 L. 241/2006,174 co. 2° c.p. condona la pena per in

29 marzo 2016

Assunzione clandestino-artt.62 bis c.p.,442,533,535, L. 125/2008 c.p.p.-condanna il datore a due mesi di arresto e ammenda-artt. 53,57 e 58 L. 689/81 converte pena detentiva in pecuniaria –artt. 1 L. 241/2006,174 co. 2° c.p. condona la pena per indulto.

 

Motivazione

Con decreto di citazione diretta del P.M., emesso il 17 gennaio 2009, il sig. G. G. è stato tratto a giudizio per rispondere del delitto e della contravvenzione in imputazione indicata.

Si è proceduto nella sua dichiarata contumacia e il Difensore, munito di procura speciale ha svolto istanza di procedersi con rito abbreviato.

Acquisito il fascicolo del P.M. il processo è stato subito discusso e deciso come da presente sentenza con motivazione contestuale.

Il presente procedimento nasce in seguito all’arresto del sig. M. I. per il delitto di cui all’art. 14 comma 5 ter D.Lv. 286/98 di avere contravvenuto all’ordine di allontanamento del questore emesso in seguito a decreto di espulsione essendo il sig. M. privo di permesso di soggiorno. Nel corso dell’udienza di convalida il sig. M. I. diceva di lavorare quale muratore per tale “G.”, riferiva di contattare il soggetto tramite telefono esibendo a tale fine un bigliettino contenente il n. ***/****** che riferiva contattare da una cabina telefonica presso le stazioni ferroviarie. Il soggetto affermava infatti di abitare in L. (**) e di muoversi in treno verso I.. Successivamente in seguito alla convalida dell’arresto e alla sentenza che ha definito la sua posizione, egli ha mostrato ai Carabinieri che con il suo consenso lo hanno acquisito in originale, un foglio A4 in carta quadretti sui quali sono manoscritti le giornate che egli ha lavorato per il “G.” dal 15 gennaio al 24 marzo di quell’anno. In effetti da accertamenti effettuati presso la V., il numero di telefono in questione risultava intestato all’odierno imputato che con accertamenti effettuati presso la CCIA di B. è risultato essere titolare di un impresa edile individuale esercente effettivamente lavori di intonacatura.  In effetti il numero di telefono in questione dai tabulati telefonici risulta essere stato contattato due volete da una cabina telefonica situata presso la Stazione ferroviaria di I. e una volta da una cabina telefonica situata presso la Stazione ferroviaria di L..

Preso atto di ciò i Carabinieri hanno proceduto al controllo di alcuni dei telefoni che sulla base dei tabulati entravano più spesso in relazione con quello dell’odierno imputato. Di tutti i soggetti sentiti solo due e precisamente i sigg.ri F. S. (sentito a S.I.T. il 6 e il 31 maggio 2007) e il sig. G. M. S. (sentito a S.I.T. il 31 maggio 2007), riferivano di conoscere il sig. M. e di sapere che effettivamente aveva lavorato per il sig. G. anche se sapevano ciò perché glielo aveva riferito il sig. M.. Il sig. F., riferiva di non vedere più il sig. M. dal maggio 2006, mentre il sig. G. riferiva che dall’agosto 2006 si era trasferito a L. da B.. Tutti e due, inoltre, riferivano anche loro di avere a suo tempo lavorato per il sig. G. che riferivano di conoscere e riferiva, specie il sig. F., di modalità di contatto con l’imputato, similari a quelle indicate dal sig. M., compresa la problematica di avere problemi per il pagamento di quanto pattuito. Il sig. G., invece, ha riferito che lui i rapporti li aveva con tale S. B. che a volte lo aveva mandato a lavorare per G.. In effetti il sig. S. B. è uno dei testi che viene sentito a S.I.T. e mentre egli afferma di avere fatto lavorare i sigg.ri G. e F., nega di avere fatto lavorare e o avere visto lavorare per G. il sig. M.. In ogni caso è certo che il sig. G. (vedi S.I.T. del sig. T.) impiegasse dei cittadini marocchini, termine da intendere in senso generico come identico a magrebini, essendo difficile per un italiano che non conosce bene le differenze, tra marocchini in senso stretto e tunisini, come sicuramente sono tutti i cittadini stranieri coinvolti nell’indagine.

Si osserva che molti dei testi sentiti per i rapporti che hanno con il G., (per esempio il sig. S. lavorava spesso con lui, la sig.ra G. O. è sua sorella, il sig. A. è suo cugino), possono avere interessi a raccontare di non conoscere il sig. M. che peraltro ha certamente dimostrato di avere un rapporto con il sig. G. in relazione alle telefonate indicate dai tabulati dalle cabine telefoniche delle Stazioni ferroviarie che permettono di dare riscontro al suo racconto.

Preso atto di ciò considerato che in questo processo il sig. M. è un testimone che non ha peraltro approfittato in nulla per le dichiarazioni rese in sede di convalida, non risultando l’esistenza di permessi di soggiorno per motivi di giustizia e che egli ha riferito di avere lavorato per G. ai suo connazionali tunisini.

Ritiene pertanto che a fronte dei riscontri che sono emersi e cioè la conferma che vi erano telefonate dalle cabine telefoniche come raccontato da lui e che in tempi non sospetti aveva riferito ai suoi due connazionali che aveva lavorato per il sig. G., che i due conoscono bene, ritiene lo scrivente che egli abbia detto la verità e che pertanto sia vero che ha prestato lavoro per il sig. G..

Il fatto configura sicuramente la contravvenzione di cui all’art. 22 comma 12 D.Lv. 286/98 contestato sub B) dell’imputazione. Infatti sussiste l’elemento oggettivo dell’assunzione di lavoratore clandestino. Quanto all’elemento soggettivo risulta che il sig. G. si è avvalso dell’opera prestata dal sig. M. e che questa prestazione d’opera non risulta formalizzata in nulla. Pertanto egli lo ha fatto lavorare “in nero” da ogni punto di vista e pertanto anche se non si è informato sul reale stato del sig. M., egli impiegandolo ha accettato il rischio di adibire al lavoro un clandestino. Sussiste pertanto l’elemento soggettivo del dolo quanto meno nella forma eventuale.

Si precisa (vedi Cass. Pen. sez. 1 del 12 aprile 2005 depositata il 2 maggio 2005 n. 16431/2005) che il reato, nonostante la norma in applicazione fa riferimento al concetto plurale di “lavoratori” sussiste anche nel caso vi sia l’assunzione di un solo lavoratore. La giurisprudenza di legittimità ha anche ritenuto che qualsiasi forma di utilizzazione del lavoro clandestino è sufficiente ad integrare la contravvenzione, anche da parte di datore di lavoro non professionale (per esempio il caso delle badanti assunte in nero dalle famiglie per assistere gli anziani) anche in caso di assunzione di fatto (trattandosi di clandestini l’assunzione in senso formale del termine non è concretamente possibile) e in caso di brevissima durata del rapporto di lavoro. Pertanto, nel caso concreto, essendo rimasto provato che il sig. G. ha fatto lavorare il sig. M. non è necessario accertare a quale titolo lo abbia fatto lavorare.

Pertanto il sig. G. è colpevole della contravvenzione indicata sub B) dell’imputazione.  

Invece non è possibile ritenere la penale responsabilità per il delitto di cui al capo a).

In proposito si osserva che la giurisprudenza della Cassazione (vedi Cass. Pen. sez. 1 dell’8 aprile 2003 depositata il 28 maggio 2003 n. 23438/2003 più volte ribadita anche in seguito) ha chiarito che tra i due reati non vi è rapporto di specialità data la differente funzione dei due reati, diretto quello contravvenzionale a combattere il fenomeno della immigrazione clandestina punendo l’assunzione di lavoratori senza permesso di soggiorno e il delitto punendo chi favorisce la permanenza nel territorio nello stato di persone clandestine traendo comunque ingiusto profitto dalla loro condizione, cosa che per altro può essere fatta anche al di fuori di un rapporto di lavoro (per esempio pattuendo un contratto di locazione con affitto giugulatorio).

Però sempre la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che per aversi questo reato, concretamente, rispetto alla contravvenzione, è necessario che vi sia un quid pluris che possa costituire la prova del fine di approfittamento. È stato anche chiarito che questo quid pluris non può essere costituito dal mancato pagamento dei contributi, cosa comune a tutti i casi di lavoro in nero. Nel caso di specie non si conoscono i dettagli degli accordi economici tra l’imputato e il sig. M.. Anche la cifra di € 432,00 scritta nel biglietto acquisito dai Carabinieri non è esemplificativa dell’accordo dato che potrebbe essere un acconto, un residuo oppure un pagamento parziale. Certo è che se la cifra fosse il totale l’approfittamento sarebbe palese, ma non essendo possibile dire questo si deve decidere in favore del reo. Non emerge inoltre alcuna modalità vessatoria del rapporto di lavoro, del tipo l’esecuzione del lavoro con modalità pericolose o degradanti e pertanto la condizione di approfittamento deve essere ritenuta non esistente allo stato delle prove con necessaria pronuncia di assoluzione ex art. 530 comma 2° c.p.p. perché il fatto non sussiste.

Il fatto che il sig. G. sia stato prima di questo fatto incensurato consente l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche essendo la peggiorativa modifica dell’art. 62 bis c.p. intervenuta successivamente alla commissione del reato e pertanto non deve essere applicata ai sensi dell’art. 2 c.p.

Per quanto riguarda il reato per il quale è stata ritenuta la penale responsabilità, si osserva che con L. 125/2008 il reato è stato trasformato in delitto con aggravamento delle pene. Pertanto ai sensi dell’art. 2 c.p. si deve applicare la norma previgente che prevedeva solo una contravvenzione.

In applicazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p. si ritiene di dovere  punire il sig. G., con la pena di mesi tre di arresto ed € 3333,34 di ammenda (pena base per il delitto mesi nove di reclusione ed € 5000,00 di ammenda diminuita fino alla pena finale per le attenuanti generiche).

In considerazione della diminuente del rito si irroga la pena effettiva di mesi due di arresto ed € 2222,26 di ammenda.

Si ritiene che la pena detentiva debba essere sostituita con pena sostituiva, essendo una pena simile più utile al fine di reinserimento sociale rispetto alla pena detentiva. Trattandosi di prima condanna, si ritiene di dovere applicare la pena pecuniaria che per il ragguaglio minimo di cui all’art. 53 L. 689/81 si determina nella misura di € 2280,00. La pena pecuniaria così applicata ammonta ad € 4502,26.

I fatti ricadono nel periodo di applicazione dell’indulto ex art. 1 L. 241/2006 e pertanto si ritiene di dovere applicare già in questa sede il condono non essendoci necessità di svolgere il cumulo di cui all’art. 174 comma 2° c.p.

Il sig. G. è inoltre condannato al pagamento delle spese processuali sostenute dall’erario.

P. Q. M.

Visti gli artt. rubricati, 62 bis c.p.,  442, 533, 535, L. 125/2008  c.p.p.;

dichiara G. G. colpevole del reato a lui ascritto sub b) dell’imputazione e, concesse le attenuanti generiche, applicato il testo dell’art. 22 comma 12 D.Lv. 286/1998 nel testo vigente prima della L. 125/2008 in quanto più favorevole, considerata la diminuente del rito, lo condanna alla pena di mesi due di arresto ed €. 2222,26 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.

Visti gli artt. 53, 57 e 58 L. 689/81 converte la pena detentiva in pena pecuniaria nella misura di € 2280,00 e per l’effetto irroga la pena complessiva di € 4502,26 di ammenda.

Visti gli artt. 1 L. 241/2006 e 174 comma 2° c.p., dichiara interamente condonata per indulto la pena irrogata.

Visti gli artt. 442 e 530 comma 2° c.p. assolve G. G. dal reato a lui ascritto sub a) dell’imputazione perché il fatto non sussiste.

 Imola, 7 aprile 2009.

Il Giudice