Sentenze

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TAR BO 04-0125 diniego rilascio concessione edilizia in sanatoria - Comune di Imola

29 marzo 2016
REPUBBLICA ITALIANA15-04-2010Sent.n. 125/2004IN NOME DEL POPOLO ITALIANORG.N. 87/2002


IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

PER L’EMILIA ROMAGNA

BOLOGNA

SEZIONE SECONDA


15-04-2010

Composto dai Signori:

Dott. Luigi Papiano Presidente

Dott. Giancarlo Mozzarelli Consigliere

Dott. Lydia Ada Orsola Spiezia Consigliere rel.est.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso RG.n. 87/2002 proposto da:

S. S. S.S. Snc in persona del legale rappresentante pt., rappresentata e difesa dall’avv. Giancarlo Mengoli ed elettivamente domiciliata in Bologna Via Carbonesi 5;

contro

COMUNE DI IMOLA in persona del Sindaco pt., rappresentato e difeso dall’avv. Silva Gotti ed elettivamente domiciliato in Bologna Via S. Stefano 43;

nonchè

l’arch. Daini Moreno, dirigente del Servizio Gestione urbanistica del Comune di Imola, non costituito;

per l’annullamento previa sospensione,

della determinazione 14.11.2001 n. 53508 con cui il Dirigente del Servizio Gestione Urbanistica del Comune di Imola ha negato alla ricorrente il rilascio di una concessione edilizia in sanatoria ex art. 13 L.n. 47/85 richiesta in data 26.4.2001 con riferimento a variazione in difformità del progetto già approvato concessione edilizia n. 388 del 6.12.1997 (relativa alla costruzione di un fabbricato ad uso vivaio con annessa abitazione custode su area sita in Via Emilia Levante), nonché dell’ordinanza 21.11.2001 n. 1133 con cui lo stesso Responsabile del Servizio Urbanistico ha disposto nei confronti della ricorrente la demolizione delle opere abusive già indicate nel verbale di accertamento 28.12.2000 n. 601, unitamente a tutti gli atti connessi compreso il relativo verbale

nonché per la condanna

del Comune di Imola e del Dirigente del Servizio Gestione Urbanistica, in via alternativa o solidale fra loro, di risarcimento dei danni patiti e patendi a favore della ricorrente nella misura da pagarsi in corso di causa, oltre interessi legali e svalutazione monetaria.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione dell’Amministrazione intimata;

Vista l’ordinanza cautelare 7.2.2002 n. 112 con cui questa Sezione ha accolto l’istanza cautelare limitatamente all’ordinanza di demolizione;

Viste le ordinanze istruttorie n. 49 del 21.5.2002 e n. 4 del 10.1.2003 con cui sono stati disposti incombenti istruttori regolarmente adempiuti;

Viste le memorie difensive presentate da ciascuna delle parti;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore designato il Cons. dott. Lydia Ada Orsola Spiezia;

Udito, alla pubblica udienza del 20.3.2003, i difensori presenti per le parti, secondo quanto risulta dal relativo verbale;

Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

1.- Con concessione edilizia 6.12.1997 n. 388 il Comune di Imola approvò il progetto presentato dalla S. S.Snc, con sede in Imola, per la realizzazione di un fabbricato a vivaio con annessa abitazione del custode su un’area di proprietà della ditta medesima in Via Emilia Levante, distinta in Catasto al foglio 157 mappale 6 – 8 – 106 e 129.

Nel corso dei lavori, però, l’Ufficio tecnico comunale con atto di constatazione del 28.12.2000 n. 601 riscontrò l’esecuzione di alcune opere in difformità dalla concessione edilizia n. 388/97 con particolare riguardo alla realizzazione di un piano seminterrato di mq. 230 circa (corrispondente all’intera superficie dell’abitazione) al posto dell’interrato di mq. 46 concessionato e con 14 finestre – aperture a quota superiore al piano di campagna, la realizzazione di due vani sottostanti la struttura di collegamento tra i servizi e l’abitazione con 18 aperture verso l’esterno, nonché l’ampliamento del sottotetto con realizzazione di due terrazzi in falda ed, infine, per il fabbricato ad uso servizio, la realizzazione di pilastri in cemento armato difformi dai disegni del progetto che li rappresentava in profilato metallico.

L’interessato, quindi, a seguito di un primo ordine di demolizione del 23.1.2001 presenta in data 26.4.2001 istanza di concessione in sanatoria ai sensi dell’art. 13 della L.n. 47/85 che, però, fu respinta con determinazione dirigenziale 14.11.2001 n. 53508 per contrasto con l’art. 30 delle N.T.A. del vigente P.R.G. per i locali seminterrati ad uso autorimessa, nonché dell’art. 13 delle N.T.A. della variante generale al P.R.G. adottata con delibera consiliare dell’aprile 1999 che, da un lato, coscrive la possibilità di ampliamento ai soli edifici già esistenti e, dall’altro, non consente la realizzazione di serre in quell’area, inserita dalla variante generale in “zona agricola di tutela dei caratteri del paesaggio collinare”.

Successivamente con ordinanza dirigenziale 21.11.2001 n. 1133 fu, altresì, disposta la demolizione delle opere difformi e l’eliminazione degli abusi realizzati in contrasto con la concessione edilizia n. 388/97.

1.1 – Avverso entrambi i provvedimenti la ditta proprietaria ha proposto il ricorso in epigrafe (notificato in data 8.1.2002), chiedendone, previa sospensione, l’annullamento per i seguenti motivi:

a) quanto al diniego di sanatoria:

Violazione di legge ed eccesso di potere per errore di fatto ed illogicità sotto diversi profili.

b) quanto all’ordine di demolizione:

vizi di illegittimità derivata, nonché violazione degli artt. 12 e 15 della L.n. 47/85 e dell’art. 6 lettera b), della L.n. 241/90, nonché eccesso di potere per errore e travisamento di fatto ed illogicità ed ingiustizia manifesta.

La ricorrente, inoltre, chiede il risarcimento del danno derivante dai provvedimenti impugnati, nella misura da provarsi in corso di causa, oltre interessi e svalutazione monetaria e consistenti – fin dalla proposizione del ricorso –nel deterioramento delle opere già eseguite e prive di protezione e nelle pretese avanzate dall’impresa appaltatrice dei lavori, previa – ove necessaria – una consulenza tecnica che quantifichi i danni subiti dalla ricorrente.

Si è costituito in giudizio il Comune di Imola che, puntualmente contestando le avverse censure, ha chiesto il rigetto del ricorso.

1.2 – Con ordinanza cautelare 7.2.2002 n. 112 questa Sezione ha accolto l’istanza di sospensione limitatamente alla disposta demolizione ed eliminazione delle difformità.

Quindi, con ordinanza n. 49 adottata nella camera di consiglio del 11.4.2002, il Collegio ha disposto l’acquisizione di documentazione nonché una verificazione delle opere oggetto del diniego di accertamento di conformità, incaricandone il dirigente del Servizio urbanistico del Comune di Cesena con facoltà di delega ad altro funzionario del suo ufficio; acquisita nel luglio 2002 la relazione illustrativa (“perizia tecnica”, (corredata da una nota spese predisposta dall’incaricato) degli esiti della verificazione effettuata dal funzionario del Comune di Cesena, ing. Luigi Scorza, delegato dal Dirigente del Settore Programmazione Urbanistica, nonché successivamente la documentazione relativa alla pratica della concessione edilizia del 1997, con ordinanza n. 4/2003 questa Sezione ha chiesto ulteriori chiarimenti nella relazione tecnica al verificatore che ha provveduto nel febbraio 2003 con un supplemento di “perizia tecnica”, allegandovi anche altra nota per il compenso.

Parte ricorrente, inoltre, nel febbraio 2003 ha esibito la consulenza tecnica d’ufficio effettuata nel corso del procedimento penale (R.G. 733/2001) instaurato davanti al giudice penale del Tribunale penale di Bologna, Sezione di Imola, nonché la corrispondente perizia tecnica di parte.

Con svariate memorie difensive ciascuna delle parti ha illustrato con ulteriore argomentazione la propria posizione anche con riferimento alle conclusioni tratte nella relazione tecnica redatta a seguito della verificazione effettuata sul luogo dell’abuso edilizio.

Parte ricorrente ha, altresì, chiesto l’esperimento di una consulenza tecnica d’ufficio al fine di far accertare la conformità delle opere alla precedente concessione ed agli strumenti urbanistici vigenti, nonché danni patiti dalla medesima.

I difensori di entrambe le parti hanno presentato la nota delle spese di lite.

Alla pubblica udienza del 20.3.2003, uditi i difensori presenti per ciascuna delle parti costituite secondo quanto risulta dal relativo verbale, la causa è passata in decisione.

2. – Quanto sopra premesso in fatto, in diritto la controversia concerne – in sostanza – la legittimità o meno della valutazione di non sanabilità delle opere edilizie eseguite dalla ricorrente in difformità dal progetto già approvato con concessione edilizia n. 388/97; infatti, l’ordine di demolizione impugnato rappresenta la conseguenza necessaria del diniego di accertamento di conformità di tali opere. Precisamente si tratta – secondo quanto si rileva sia dall’impugnato diniego sia dalla stessa istanza ex art. 13 L.n. 47/85 – di ampliamenti realizzati:

1) nel piano “interrato”, esteso a tutta la pianta della porzione abitativa per mq. 230 circa - destinato a ricovero veicoli – contro i mq. 46, già autorizzati, nonché anche all’area sottostante i portici di collegamento tra il fabbricato di servizio e l’abitazione (dove sono state previste la centrale termica e quella di raffreddamento);

2) nel piano sottotetto dove è stato rilevato un aumento di superficie edilizia totale a seguito della realizzazione di due terrazze in falda;

nonché della modifica nel sistema di costruzione dei capannoni adibiti a “serra”, che sono stati realizzati con pilastri in cemento armato, mentre nel progetto approvato erano previsti in profilato metallico con tetto in struttura leggera.

Per maggior chiarezza dei termini della controversia va precisato che gli ampliamenti sono stati ritenuti dal Comune di Imola non sanabili in quanto in contrasto con l’art. 30 delle N.T.A. annesse al P.R.G. vigente in tema di volumi tecnici e di autorimesse seminterrate e con l’art. 13 delle N.T.A. della variante generale al P.R.G. adottata (all’epoca dell’abuso e poi approvata nel 2002), che individuava gli interventi ammessi nell’area in questione, trasformata la zona agricola E1 in zona Eb – agricola di tutela dei caratteri del paesaggio collinare, nonché con la definizione da piano interrato introdotta dalla detta variante nell’ambito della definizione di elementi e parametri edilizi.

Va, inoltre, ricordato che il progetto approvato con la concessione edilizia n. 388/97 consentiva alla ricorrente di realizzare un capannone destinato a deposito piante in zolla ed un altro destinato a deposito macchine agricole, con annessa abitazione per il custode, costituita da un piano interrato di mq. 46 con uso autorimessa, senza finestre, di un piano terra e di un sottotetto non abitabile e con utilizzazione della superficie massima consentita dagli strumenti urbanistici vigenti all’epoca del rilascio della concessione stessa.

2.1 - Fatta questa premessa circa le caratteristiche dell’intervento urbanistico in controversia, il Collegio, alla luce di tutti i documenti di causa ed, in particolare, della relazione tecnica redatta a seguito della verificazione dei luoghi (affidata al Servizio di gestione urbanistica del Comune di Cesena), nonché della relazione tecnica di parte, trasmessa da parte ricorrente (a firma dell’arch. Monducci) in occasione dell’espletamento delle operazioni del funzionario incaricato della verificazione, ritiene di poter condividere in larga parte le conclusioni di non conformità delle opere edilizie in questione alle prescrizioni urbanistiche vigenti (ed a quelle adottate), esposte nel provvedimento impugnato.

Infatti, in primo luogo, nel corso della verificazione si è constatato che il nuovo intervento, realizzato al di sotto dell’edificio destinato ad abitazione del custode, presenta una serie di finestre di altezza di circa cm. 96 a partire dal piano di campagna circostante; da ciò la conseguenza che la quota dell’intradosso del soffitto del piano sottostante di necessità non viene a trovarsi ad una altezza pari o inferiore a cm. 90 copra il livello del terreno circostante, ma diversamente, a quasi cm. + 100, in conformità – fra l’altro – a quanto indicato nello stesso progetto presentato per la sanatoria ex art. 13 dalla ditta proprietaria, attuale ricorrente; pertanto l’ampliamento del locale, in origine ad uso autorimessa dell’abitazione e portato da mq. 46 a mq. 230 circa, non poteva più configurare un piano “interrato” in base alle definizioni degli elementi edilizi introdotte dalla variante al P.R.G., adottata nel 1999, che in questo caso richiedeva che l’intradosso del soffitto fosse quotato in ogni punto ad un’altezza uguale o inferiore a cm. 90 rispetto al livello del terreno circostante, escluso ovviamente ogni intervento modificativo del livello di campagna preordinato all’elusione di tali misure, quali – ad esempio – i rincalzi di terreno riportato.

2.2 – Né, in punto di fatto, giova alla ricorrente replicare che la dimensione delle finestre, di altezza pari a cm. 96, come rilevata in sede di verificazione, a lavori ultimati sarebbe risultata nei prescritti limiti di cm. 90, in quanto, da un lato, come si è detto nella stessa pianta presentata per la concessione in sanatoria le finestre in questione sono riportate nella misura di cm. 100 di altezza (per cui – al limite – risulta anche contraddittorio che, invece, nel disegno del fabbricato le stesse siano riportate di cm. 90), mentre, dall’altro, le stesse rifiniture in mattoni e la disposizione degli stessi in corrispondenza dell’architrave superiore rendono poco realistica l’ipotesi prospettata che la prevista dimensione finale di tali aperture fosse limitata ad un’altezza non superiore a cm. 90 e, quindi, consentisse di contenere l’altezza dell’intradosso del soffitto alla quota limite di cm. 90 da livello del terreno circostante.

Inoltre, una volta escluso che si tratti di piano interrato, la relativa superficie – a differenza di quanto prospettato nella relazione tecnica allegata all’istanza di sanatoria ex art. 13 L.n. 47/85 – va computata ai fini della misura della superficie edilizia totale (parametro introdotto dalla variante adottata nel 1999) e/o della superficie utile (ai sensi dell’art. 30 N.T.A. vigente all’epoca), parametro già completamente utilizzato per l’abitazione del custode secondo i calcoli riportati sul progetto approvato con la concessione edilizia n. 388/97.

Né l’ampliamento del preteso piano interrato risulta conforme all’art. 13 delle N.T.A. adottate, che nella zona Eb - agricola di tutela dei caratteri del paesaggio collinare – all’evidente fine di preservare il più possibile le tradizionali caratteristiche geo – antropiche dell’ambiente – consente gli ampliamenti solo per gli edifici esistenti, situazione in cui non rientra l’intervento edilizio in controversia.

2.3 – Né tanto meno, quanto alla destinazione di tale piano a deposito automezzi, appare condivisibile l’assunto della ricorrente secondo cui, premesso che si tratterebbe di un ricovero per veicoli agricoli, la “nuova costruzione” sarebbe, da un lato, compatibile con gli indici di utilizzazione edilizia dell’intera area destinata all’attività vivaistica e, dall’altro, non rientrerebbe nell’ambito delle limitazioni imposte agli interventi sugli edifici “esistenti” dall’art. 13 delle N.T.A. adottate: infatti, in primo luogo, la realizzazione del piano c.d. interrato nel corso dei lavori di costruzione dell’intero complesso approvato e la sua stessa allocazione all’interno dell’edificio destinato ad abitazione del custode costituiscono di per sé elementi idonei a far escludere che l’intervento configuri una “nuova costruzione”, e non un ampliamento della autorimessa di servizio dell’abitazione, di mq. 46, contemplata nella concessione edilizia del 1997, mentre, dall’altro, la stessa connessione funzionale con l’abitazione impedisce di considerare per ragioni oggettive l’area in questione a servizio dell’attività produttiva per le cui specifiche esigenze è stato realizzato un apposito capannone destinato espressamente a deposito attrezzi agricoli; quindi a sostegno di una diversa destinazione risulta insufficiente il richiamo alla dichiarazione resa dal progettista nell’ottobre 2001 in ordine all’utilizzazione del piano c.d. interrato per ricovero di “automezzi ed attrezzature dell’attività”.

2.3.1 – D’altra parte neanche l’ipotesi subordinata formulata dalla ricorrente può essere accolta: infatti, ove il locale fosse considerato autorimessa a servizio dell’abitazione, non sarebbe conforme al disposto dell’art. 30, lett. d), delle N.T.A. del P.R.G. vigente, in quanto, trattandosi di una superficie che eccede 1 mq. per ogni 10 ml. di costruzione, è prescritto che l’autorimessa debba essere completamente interrata, mentre – come si è visto – l’intervento edilizio in questione non ha le caratteristiche prescritte per il “piano interrato”.

2.4 – Quanto poi ai locali sotterranei previsti per la collocazione degli impianti di riscaldamento e raffreddamento è evidente che, poiché la loro superficie (superiore complessivamente ai mq. 100) sopravanza la quota del 25% della s.u. dell’edificio destinato ad abitazione del custode, è evidente che tale ampliamento non può risultare conforme non solo all’art. 13 delle N.T.A. adottate già citato, ma neanche all’art. 30 delle N.T.A. del P.R.G. vigente che limita alla riportata percentuale la superficie non computabile ai fini del calcolo della “superficie utile”; inoltre la mancata allegazione all’istanza di concessione ex art. 13 della tavola relativa agli impianti tecnici costituisce un’incompletezza documentale che, se da un lato ha avallato una valutazione di non conformità delle opere in questione, dall’altro non può costituire il fondamento di una censura di violazione dell’art. 3 L.n. 241/90 in quanto è onere del richiedente fornire gli elementi conoscitivi necessari suffragare l’effettività della situazione rappresentata e, nel caso di specie, dell’effettiva destinazione d’uso delle opere di cui si richiede la sanatoria e ciò al fine di consentire al Comune l’applicazione corretta delle prescrizioni urbanistiche, evitando travisamenti di fatto che potrebbero risolversi in un illegittimo vantaggio per il richiedente, autore delle opere.

2.5 – Quanto, poi, al vano sottotetto ed alla “falda con copertura piana” (locuzione usata dalla ricorrente nella memoria del marzo 2003), dai riscontri fotografici eseguiti durante la verificazione e dagli elementi forniti dal verificatore stesso appare al Collegio ragionevole la conclusione negativa tratta dal Comune di Imola in ordine alla non sanabilità di tali opere: si tratta, infatti, di due terrazze in falda accessibili da corrispondente apertura, per cui danno luogo ad un aumento di superficie edilizia totale – SET non ammessa – come ha stabilito il Comune nel diniego di concessione all’esame - dall’art. 13 delle N.T.A. della variante al P.R.G. adottata.

D’altra parte, al fine di suffragare la propria tesi che non si tratta di terrazze in falda accessibili, non appare sufficiente che la ricorrente faccia presente nell’istanza di sanatoria ex art. 13 che è prevista “l’eliminazione dell’ampliamento presente” e che le “presenti terrazze saranno ultimate come coperture piane non accessibili”, ove solo si consideri che l’accertamento di conformità per le opere già eseguite in assenza di concessione edilizia fa riferimento allo stato effettivo dell’intervento senza titolo, e non deve certo avere riguardo all’impegno di completare lavori in corso con determinate caratteristiche che n’assicurino un risultato finale di osservanza delle prescrizioni urbanistiche.

2.6. – Appaiono invece, fondate le censure di violazione dell’art. 12 L.n. 47/85 e di eccesso di potere per errore di fatto, dedotte con il sesto motivo con riguardo alla pretesa insanabilità delle modifiche dei materiali utilizzati per la costruzione dei due capannoni ad uso servizio, realizzati con pilastri in cemento armato, mentre – ad avviso del Comune – il progetto approvato presentava un’impostazione qualitativamente diversa, caratterizzata da una struttura portante in profilato metallico con tetto in struttura leggera.

Invero il Collegio ritiene determinante il richiamo alla relazione tecnica annessa al progetto approvato nel 1997, che per i due capannoni a servizio dell’attività vivaistica indicava una struttura portante in cemento armato, tamponata in laterizio e con finiture definite nel progetto architettonico: portante, fermo restando che le dimensioni delle costruzioni in questione sono – comunque – rimaste invariate, la modifica del tipo di materiale impiegato per la realizzazione delle due strutture ad uso servizi risulta irrilevante in ordine alla valutazione di conformità di tali opere edilizie con le prescrizioni urbanistiche.

D’altra parte, esaminati gli atti del giudizio e le risultanze della verificazione, è emerso che il Comune non ha tenuto in alcun conto la circostanza che la relazione tecnica annessa al progetto approvato con la concessione n. 388/97 faceva espresso riferimento ad una struttura portante in cemento armato, tamponata in laterizio; pertanto, in mancanza di qualunque esplicito riferimento (nei documenti presentati dalla committente all’epoca del rilascio della concessione) a strutture di sostegno e coperture in altro materiale, l’affermazione contenuta nel diniego di sanatoria non appare adeguatamente suffragata nella sua esattezza, atteso che - a differenza di quanto affermato dalla difesa dell’Amministrazione - pur in presenza di una rappresentazione non chiara di alcuni aspetti di un intervento edilizio, non è ragionevole dare la prevalenza all’interpretazione del disegno del progetto, al fine di individuare i materiali previsti per le strutture portanti, quando al riguardo la relazione tecnica fornisce elementi chiari e determinanti.

In conseguenza, poiché non si tratta di un intervento edilizio “nuovo”rispetto a quello già approvato, illegittimamente il Comune ha negato la concessione ex art. 13 L.n. 47/85 per la parte di strutture già eseguite, ritenendo erroneamente che alla sanatoria fosse di ostacolo la previsione restrittiva dell’art. 13 delle N.T.A. adottate (più volte richiamato) che nella zona non ammetteva più la realizzazione di serre, vivai ed altri simili interventi.

2.7 – Inoltre il diniego di sanatoria appare viziato da violazione dell’art. 3 della L.n. 241/90 e da eccesso di potere per errore di fatto anche con riguardo alle scale che nell’edificio per il custode collegano il piano terra a quello seminterrato.

Infatti, da un lato, non viene indicata la prescrizione urbanistica violata, mentre, dall’altro, si fa riferimento a valutazione di “funzionalità tecnica” non pertinente, nonché ad incongruenze di rappresentazione grafica che, seppur esistenti, sarebbero comunque irrilevanti sotto il profilo della conformità urbanistica ed avrebbero richiesto, al più, chiarimenti tempestivamente acquisibili.

3. – Quanto, poi, all’ordinanza di demolizione emessa a seguito del diniego di accertamento di conformità prima esaminato ed oggetto di censure di illegittimità derivata ed autonoma per vizi propri, in primo luogo il Collegio non può che prendere atto della illegittimità dell’ordinanza in questione limitatamente alla parte relativa alla porzione di fabbricato ad uso servizi, nonché alle due scale del seminterrato in corrispondenza alla fondatezza delle censure dedotte avverso il relativo diniego di accertamento di conformità sopra esaminato, mentre per le restanti opere le censure in via derivata vanno disattese per infondatezza di quelle avverso il relativo diniego di sanatoria.

3.1 – Vanno, invece, respinte le censure di violazione dell’art. 12 L.n. 47/85 per pretesa inesistenza dell’abuso da sanzionare, poiché la circostanza che le opere difformi dalla concessione edilizia non siano state portate a termine è ovviamente irrilevante trattandosi di interventi edilizi in avanzato stato di realizzazione e, quindi, di caratteristiche sufficientemente definite per valutarne la conformità o meno al progetto approvato.

Inammissibile risulta, poi, la censura di violazione dell’art. 15 L.n. 47/85, in quanto l’ordinanza di demolizione delle opere difformi è atto consequenziale ed esecutivo rispetto al diniego di accertamento di conformità, che ha qualificato le opere come abusive e, quindi, soggette alla corrispondente sanzione.

Non sussiste, infine, la violazione dell’obbligo di istruttoria ai sensi dell’art. 6 L.n. 241/90, dedotta con l’ottavo ed ultimo motivo di ricorso, in quanto l’ordinanza di demolizione fa riferimento non solo all’atto di constatazione redatto nel dicembre 2000, ma, ovviamente, anche e soprattutto all’esito della procedura di sanatoria conclusasi pochi giorni innanzi e che aveva consentito un’aggiornata ricognizione dello stato di esecuzione dell’intervento edilizio in controversia.

4. – Infine va dichiarata inammissibile la domanda di risarcimento dei danni che la ricorrente asserisce provocati dalla pretesa illegittimità dei provvedimenti impugnati: infatti, premesso che il diniego di accertamento di conformità risulta illegittimo solo in parte qua (limitatamente ai due capannoni ad uso servizi ed alle scale), e che la dichiarazione di illegittimità del provvedimento amministrativo, che ha cagionato la lesione dell’interesse protetto, costituisce il presupposto per la domanda di risarcimento dei danni corrispondenti a tale lesione, ne consegue che la ricorrente non ha offerto neanche un principio di prova circa la sussistenza di pregiudizi economici derivati dall’illegittimo diniego di sanatoria delle opere edilizie relative ai due capannoni, limitandosi ad una richiesta sostanzialmente generica e rinviandone ogni prova e precisazione ad un momento successivo e chiedendo, infine, un’eventuale consulenza tecnica d’ufficio (“che accerti e quantifichi i danni subiti dalla ricorrente”); incombente che questo Collegio non ritiene di disporre proprio per l’assenza di qualsiasi principio di prova circa la concreta sussistenza del pregiudizio lamentato; mentre, per altro verso, l’inammissibilità della domanda deriva dall’infondatezza delle censure di illegittimità dedotte avverso il diniego di sanatoria (e l’ordine di demolizione connesso) relativamente alle altre opere realizzate in difformità dalla concessione edilizia già rilasciata.

5. – Riepilogando, quindi, il ricorso, con riguardo alla domanda d’annullamento di provvedimenti impugnati, va accolto nei limiti sopraesposti, mentre va rigettato per la restante parte con il venir meno per la parte corrispondente degli effetti dell’ordinanza cautelare; va, inoltre, dichiarato inammissibile nei sensi sopra illustrati con riguardo alla domanda di risarcimento dei danni.

Qunato, poi, alle complessive spese di lite, gli oneri di difesa sono integralmente compensati tra le parti tenuto conto della reciproca soccombenza, mentre, gli oneri derivanti dall’espletamento della verificazione delle opere edilizie in controversia vanno, comunque, posti a carico della parte ricorrente, in ragione delll’esito complessivo della controversia in cui la ricorrente è rimasta prevalente soccombente, nell’importo che verrà comunicato al difensore della ricorrente direttamente dal Dirigente del settore Gestione Urbanistica del Comune di Cesena, che liquiderà a favore del funzionario delegato, Ing. L. S., il trattamento di missione spettante al medesimo per il sopralluogo effettuato il giorno 21.6.2002 ad Imola, nonché il corrispettivo per lavoro straordinario ove il verificatore abbia provveduto a redigere la relazione e gli annessi chiarimenti fuori dell’orario di servizio, oltre al rimborso delle spese di viaggio.

Inoltre il Collegio, vista l’introduzine della relazione, recante l’intestazione “perizia tecnica”, ritiene opportuno precisare che l’espletamento dell’incarico suddetto non aveva né la sostanza né le modalità procedurali della consulenza tecnica d’ufficio, essendo stata disposta solo una verificazione al più circoscritto scopo di acquisire elementi conoscitivi non di parte circa “le caratteristiche dell’intervento edilizio oggetto di contestazioni da parte della ricorrente” (v. ord. istruttoria); per tale ragione, pur prendendo atto che – invece – l’incaricato ha predisposto una vera e propria perizia tecnica completa di valutazioni sulla difformità delle opere, nonché sul regime urbanistico applicabile, il Collegio non può tenere conto delle note di liquidazione del compenso predisposte dal detto verificatore in applicazione della normativa vigente per gli emolumenti dei periti e consulenti tecnici ed allegate alla “perizia tecnica” del luglio 2002 ed al supplemento del febbraio 2003, considerato che – come si è già detto – nel caso di specie si tratta di un mezzo istruttorio il cui espletamento, ai sensi degli artt. 26 e 29 del R.D. n. 642/1907, è stato affidato ad un dipendente pubblico proprio in ragione della specifica attività di servizio esercitata presso altro ente pubblico nello stesso settore in cui rientrano i provvedimenti impugnati e, quindi, non configura una libera prestazione professionale avente contenuto di perizia tecnica.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna - Bologna, Sezione Seconda, quanto alla domanda di annullamento, ACCOGLIE il ricorso nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla in parte qua i provvedimenti impugnati, RIGETTANDOLO per la restante parte con il conseguente venir meno degli effetti dell’ordinanza di sospensione in parte qua, mentre lo dichiara INAMMISSIBILE, nei sensi di cui in motivazione, quanto alla domanda di risarcimento del danno.

Compensa tra le parti gli oneri di difesa, mentre pone a carico della ricorrente le spese per la verificazione liquidate nell’importo che sarà calcolato dal Dirigente del Settore gestione urbanistica del Comune di Cesena con i criteri e secondo le modalità indicate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Bologna nella Camera di Consiglio del 20.3.2003.

Presidente f.to L. Papiano

Cons.rel.est. f.to L.A.O. Spiezia

Depositata in Segreteria in data 29.1.2004

Bologna, lì 29.1.2004

Il Segretario

f.to Livia Monari